Psicologi Anpas: Emergenza sanitaria o sociale? Il supporto dei volontari Anpas

Emergenza sanitaria o sociale? Il supporto dei volontari Anpas
Psicologi Anpas - Foto Luciana Castagna

Riflettendo sul termine emergenza risulta immediato il collegamento a un qualcosa di noto ed inaspettato o di completamente sconosciuto, che all’improvviso manifesti la propria presenza, emergendo dallo sfondo del quotidiano. L’emergenza rappresenta sempre una frattura nella continuità temporale, che sconvolge ruoli e procedure, capacità di reagire e saperi, ritmi del quotidiano, progetti per il futuro.

Chi ha scelto di dedicarsi al volontariato, o di intraprendere un’attività lavorativa connotata da una pronta operatività in caso di bisogno, è realmente a conoscenza di ciò cui potrà andare incontro?

L’emergenza attuale sta inevitabilmente costringendo tutti gli attori dediti al soccorso (medici, infermieri, soccorritori, operatori sanitari) ad effettuare opere di salvataggio ed aiuto, in un caos procedurale e decisionale, sperimentando elevati livelli di sovraccarico e sofferenza. Inoltre, la pandemia, imprevedibile emergenza sanitaria di carattere mondiale, ha dimostrato la vulnerabilità sociale ed economica dei territori, in quanto ha colpito qualsiasi gruppo sociale.

In tale scenario, si inserisce l’intervento delle donne e degli uomini di Anpas, che garantiscono il presidio dell’emergenza sanitaria, ma altrettanto il supporto nelle attività di: consegna di spesa, farmaci, pasti, beni di prima necessità, dispositivi per la realizzazione della scuola a distanza, dispositivi di protezione individuale (DPI), libri; ritiro ricette e referti medici; trasporti sociali; ascolto attivo della cittadinanza; supporto psicologico; logistica per la realizzazione di drive-in Covid e montaggio tensostrutture, gestione e coordinamento dei Centri Operativi Comunali (COC).

L’esito del tampone, che tarda ad arrivare.

La lista della spesa, illustrata a telefono, insieme ai racconti della vita quotidiana in epoca Covid, e consegnata da lontano, indossando guanti e mascherina.

Quei farmaci o il latte in polvere portati fino a casa, affinché giungano tempestivi.

Il tenersi compagnia, una voce di conforto, per non sentirsi soli.

Servizi condotti a pieno contatto con le fragilità e preoccupazioni dei cittadini e connotati da un elevato impatto emotivo. Momenti che avvicinano e ci sintonizzano in una relazione, che tocca le corde del sostegno e della solidarietà, dove non può sperimentarsi la distanza. Quella distanza fisica, da rispettare per contenere e limitare il contagio, stavolta colmata dalla vicinanza emotiva, dalla disponibilità e dal condividere insieme, che rende unico ed autentico l’atto del donarsi agli altri.

Questi momenti, però, potrebbero attivare una selva di sentimenti ed emozioni contrastanti; indurci a farci sentire inadeguati, appagati, entusiasti, demoralizzati, pronti a fare di tutto per risollevare le sorti di coloro i quali stiamo aiutando, ma altrettanto prontamente realizzare di non poterci sostituire a chi ha richiesto il nostro supporto, impotenti.

Quando l’emergenza ci dimostra che stiamo vivendo una fase momentanea di disorientamento e disorganizzazione psicologica e abbiamo difficoltà a governare le differenti variabili emozionali, fondamentale è il ricorso alle strategie di fronteggiamento (coping, dall’inglese to cope, ovvero fare fronte).

La dotazione di strategie comportamentali e strumenti cognitivi (ad esempio confidarsi e confrontarsi con i colleghi; partecipare a un momento chiamato defusing, per agevolare la riflessione di gruppo sulle esperienze ed emozioni condivise; scrivere un diario; rivolgersi a personale competente in psicologia dell’emergenza; partecipare a debriefing, un incontro di gruppo condotto da personale con competenze psicologiche, per ridurre il senso di isolamento e agevolare la decompressione emotiva; fare ricorso alla religione; distaccarsi dall’emergenza, prendendosi cura del rispetto di pause, durata dei turni, pasti e riposo.

Per approfondimenti: https://www.anpas.org/categoria-news-pc/3594-coronavirus-psicologia-coping.html 

di Gilda Pepe, psicologa Anpas

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