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Tesi – Lo sviluppo della Federazione Nazionale delle pubbliche assistenze tra il 1970 e il 1991

“Lo sviluppo della Federazione Nazionale delle pubbliche assistenze tra il 1970 e il 1991”, la tesi di Francesco Vegni sulla storia di Anpas

 L’Archivio Storico non è Google, di Maurizio Garotti

2 marzo 2018 – Un Archivio non è un motore di ricerca che sciorina, con un semplice click, una sfilza di risultati che surrogano tutta la realtà in una e-memoria volatile e temporanea, racchiusa in una lista di link. Un achivio è il luogo dove si concentra ciò che Guido Ceronetti definisce la memoria verace. La ricerca in archivio, tra le carte, costa fatica; non la fai con un click, e per far riaffiorare e riaccendere di suoni e di rumori quei documenti, ti devi armare di buona volontà, di un paziente lavoro e di una visione del mondo e della Storia, che vada ben oltre i 7’’ dello smartphone.
Per la cura e l’impegno che deve avere chiunque si cimenta nella consultazione delle carte d’archivio, ma anche per tutta la gioia che si prova nel momento in cui quei documenti riaperti, si riempiono di persone e di eventi, riprendendosi il posto che loro compete nella realtà storica; per tutti questi motivi, il lavoro di tesi di laurea di Francesco Vegni, dal titolo “Lo sviluppo della Federazione Nazionale delle pubbliche assistenze tra il 1970 e il 1991”, ci inorgoglisce e ci rende fieri.
Ci inorgoglisce perché la sua tesi è basata principalmente “su materiale archivistico, ovvero sul fondo archivistico di Anpas nazionale, che ha sede a Firenze”, ci rende fieri perché è la conferma che la scelta politica che facemmo nel 2009 di tutelare e mettere a disposizione i nostri documenti, come patrimonio da condividere con studiosi e associati, fu la scelta giusta.
Lo stesso principio che ora anima Francesco nel mettere a disposizione di tutti, volontari e soci, la sua tesi; di questo non possiamo che ringraziarlo, perché parla di noi, della nostra memoria verace che, pur se la diffonderemo in formato elettronico, in quel mare magnum della e-memoria che va surrogando la realtà stessa (citando Ceronetti), sappiamo che non si perderà, perché ha alla base la solidità della nostra storia ultra centenaria e conservata tra le carte del nostro Archivio e, anche, ha tutto l’impegno e la fatica (e la gioia) di una ricerca d’Archivio svolta da Francesco.


“Lo studio che ho condotto in archivio, mi ha permesso di ricostruire la storia del movimento nel ventennio decisivo per il suo sviluppo, ovvero il periodo che va dal 1970 al 1991, anno dell’approvazione della legge quadro sul volontariato” scrive Francesco Vegni a proposito della sua tesi per il Corso di Laurea Magistrale in Storia e Filosofia, presso l’Università di Siena, Dipartimento Scienze Storiche e dei Beni culturali. “In questo lasso di tempo, segnato in gran parte dalla presidenza di Patrizio Petrucci, il movimento delle pubbliche assistenze è cresciuto in maniera esponenziale. Il dialogo con le forze politiche, con le altre organizzazioni di volontariato e con tutte le parti sociali, ha prodotto risultati importanti come il primo riconoscimento del volontariato nell’ambito della riforma sanitaria del 1978”.

Il cuore è nelle radici

 

L’abstract della tesi di Francescoo Vegni

La Federazione Nazionale delle pubbliche assistenze, oggi denominata A.N.P.AS, è una organizzazione di volontariato che è stata fondata a Spoleto nel 1904 per coordinare e rappresentare a livello nazionale le associazioni di pubblica assistenza, sorte in Italia a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Tali associazioni hanno raccolto l’eredità delle prime forme di organizzazione della società civile d’ispirazione laica formatesi nell’Ottocento, come le Società di Mutuo Soccorso e i movimenti risorgimentali di matrice democratica, nate per affrontare i problemi sociali e per reclamare i diritti fondamentali dei cittadini, segnando il passaggio da un volontarismo di tipo politico e militare verso un volontariato moderno di tipo sociale, che offre il proprio aiuto a chiunque versi in uno stato di bisogno, e non solo ad una parte della popolazione. La Federazione, sciolta dal regime fascista nel 1933 e ricostituitasi a Milano nel 1946, ha attraversato tutti i cambiamenti politici, economici e sociali del nostro Paese nel corso del Novecento, rinnovando la propria struttura e allargando il raggio d’azione, agendo sempre in base a principi solidaristici e umanitari.

 

Oggi rappresenta una delle più grandi organizzazioni di volontariato presenti in Italia, con più di 800 associazioni distribuite su tutte le regioni. Il grande sviluppo del movimento si è verificato a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, in un ventennio in cui il volontariato ha superato una dimensione marginale per diventare una forma partecipativa in grado di coinvolgere gran parte della società civile, culminando nella legge quadro sul volontariato del 1991, che ha legittimato definitivamente il fenomeno. Pertanto, questo elaborato analizza il periodo di svolta per la Federazione, che nel 1987 diventa associazione Nazionale pubbliche assistenze, alla fine di un percorso che l’ha portata a raggiungere una certa rilevanza sul panorama nazionale, con la diffusione anche nelle zone in cui mancava un tessuto associativo, e a dirigere la propria azione verso tutti i campi del sociale, non più soltanto nei settori tradizionali di queste associazioni, ovvero sanitario e assistenziale.
La tesi, pur prendendo spunto da alcune pubblicazioni dell’Anpas a vari livelli, nazionale, regionale e della singola associazione, e dal libro di Fulvio Conti dal titolo I volontari del soccorso. Un secolo di storia dell’associazione nazionale pubbliche assistenze, che ripercorre la storia del movimento dalle origini fino all’inizio del nuovo millennio, è basata principalmente su materiale archivistico, ovvero sul fondo archivistico dell’Anpas nazionale, che ha sede a Firenze.

 

Lo studio si è concentrato principalmente sui documenti del Congresso nazionale, in particolar modo la fase che va dal Congresso di Pisa del 1970 a quello di Milano del 1990, e sui documenti del Consiglio nazionale, in particolare sui verbali dal febbraio del 1969 all’ottobre del 1991. Inoltre, per comprendere meglio i rapporti tra dimensione nazionale e locale, è risultata molto utile l’analisi della corrispondenza della Federazione con le Unioni regionali e con le associazioni aderenti nel ventennio preso in esame. Dopotutto, la grande crescita della Federazione registrata in quel periodo è basata su un processo di rafforzamento del movimento nazionale, che ha creato una linea programmatica comune all’interno del variegato mondo delle pubbliche assistenze, rappresentando e valorizzando allo stesso tempo l’operato delle Unioni regionali e delle singole associazioni.

Vedi anche Archivio storico

La tesi è articolata in tre capitoli. Il primo ripercorre le tappe che hanno portato al rinnovamento della Federazione negli anni ’70, dopo la ricostruzione del dopoguerra e le difficoltà dei primi venticinque anni, caratterizzato da una crescita interna e da un impulso riformistico che ha rilanciato la sua azione, soprattutto con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale nel 1978, che ha rappresentato il primo riconoscimento del volontariato. Il secondo capitolo affronta il grande sviluppo del movimento negli anni ’80, che ha reso necessario un cambiamento strutturale, con il rinnovo statutario e il cambio di denominazione, in un periodo segnato anche dall’intervento in occasione del terremoto dell’Irpinia, che ha evidenziato la grande organizzazione di queste associazioni in materia di protezione civile. Il capitolo finale, invece, è dedicato all’impegno sociale e alle innovazioni nel settore dell’emergenza sanitaria della Federazione tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, in particolar modo la sperimentazione dell’ambulanza con il medico a bordo per le urgenze, il cosiddetto servizio S.P.A.M.U. (Soccorso pubblica assistenza con Medico per le Urgenze), e del soccorso con mezzo aereo, che perfezionava il primo tipo di servizio e migliorava significativamente la qualità del primo soccorso grazie ad un perfetto coordinamento tra i mezzi a disposizione per l’emergenza, la centrale operativa e gli ospedali (tali innovazioni risultarono molto importanti in vista dell’attivazione del ‘118’, il numero unico dell’emergenza sanitaria). All’inizio degli anni ’90 l’associazione Nazionale pubbliche assistenze era ormai una realtà rilevante del mondo del volontariato, impegnata in molti campi, tra i quali: sanitario, assistenziale, protezione civile, donazione di sangue, servizi ambulatoriali, tutela ambientale, servizio civile per gli obiettori di coscienza. Inoltre, forte della sua capacità aggregativa, era fortemente impegnata nella trasmissione di valori di educazione civica e solidarietà popolare, contrastando l’emarginazione e la solitudine, favorendo il reinserimento sociale dei carcerati, dei tossicodipendenti, dei malati di AIDS e assistendo i bambini, gli anziani e i portatori di handicap.

La svolta interna al movimento si è verificata in occasione del Congresso di Sarzana del 1978, nel quale la vittoria del programma toscano su quello ligure, due regioni in cui storicamente le pubbliche assistenze hanno radici più profonde, ha sancito l’inizio di un percorso che nel decennio successivo avrebbe portato ad una maggiore compattezza all’interno del movimento, saldando la dimensione nazionale con quella locale, e ad una maggiore apertura verso l’esterno. In particolare,
la Federazione ha cominciato progressivamente ad instaurare un dialogo costruttivo con tutte le parti sociali, con le istituzioni e con i rappresentanti politici, ponendo le basi per le leggi regionali degli anni ’80, che per prime hanno preso in considerazione l’opera svolta dalle associazioni di volontariato, e per la legge quadro del 1991. L’avvicinamento delle istituzioni è stato possibile anche grazie alla collaborazione fra associazioni laiche, come quelle di pubblica assistenza, e associazioni cattoliche, che hanno rotto il muro politico e ideologico che ha caratterizzato i primi trent’anni dell’Italia repubblicana per creare un volontariato unito, basato sui principi comuni della solidarietà e dello spirito umanitario, e impegnato quotidianamente per migliorare la qualità della vita e per eliminare le ingiustizie sociali della nostra società.

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6 maggio 1976, l’intervento in Friuli: i primi 4 giorni ad Artegna

6 maggio 1976, terremoto del Friuli Cronaca

di Gian Beppe Gatti da Croce Verde Notizie Periodico d’informazione della Croce Verde Torino, Croce Verde di Torino
Con la lucida freschezza dei ricordi dei fatti del passato che è propria di chi spesso, non ricorda quel che ha fatto il giorno prima, rivivo l’esperienza dei tragici giorni del terremoto in Friuli. La sera del 6 maggio 1976, alle ventuno, pochi minuti dopo la scossa, mi recai in Croce Verde, dove si stava svolgendo il Consiglio Direttivo. Il dottor Di Giovine, all’epoca nostro Commissario Prefettizio oltre che Vice Prefetto di Torino, si era già messo in contatto con un collega di Milano che gli confermò che una forte scossa di terremoto si era verificata nell’area del Nord Est. Si pensò subito a pianificare l’organizzazione di un possibile primo intervento e ricordo, con un pizzico di orgoglio, che alle ventitré, neanche due ore dopo l’allarme, una squadra di volontari era già pronta a partire.

La prima squadra era coordinata da chi scrive, all’epoca vice direttore dei servizi, e dai militi Azzalin, Cocciolo, Guerra, Losito, Merlo, Ricchiardi, Rumiano, Sgambeterra, Turbil, Vaona e un esterno, amico di qualche milite, che possedeva un Land Rover passo lungo che con la nostra ambulanza Fiat 238 ci permise il trasporto di tutto il materiale sanitario, delle tende e dei viveri necessari per renderci autosufficienti per 4/5 giorni. Trenta ore dopo l’evento del sisma, al termine di un lungo viaggio, rallentato dalla Prefettura, che in un primo tempo non ci diede il permesso di partire, e dalle condizioni dei mezzi a nostra disposizione certamente non veloci e troppo carichi, arrivammo a Udine verso le 3 di mattina. Ci presentammo prima alla Prefettura, quindi al Comando dei Vigili del Fuoco che fungeva da centro di coordinamento. Qui era stato approntato un tabellone con l’elenco dei comuni interessati dal terremoto e le varie colonne con le indicazioni relative ai medici, le ambulanze, i farmaci, le tende, i generi alimentari e tutto quello che poteva servire.

Il vigile responsabile, dopo averci chiesto di cosa disponevamo, consultò il tabellone e ci assegnò il comune di Artegna come nostra area di competenza; in quel paese confinante con Gemona, che era il centro più colpito dalla scossa, non era ancora entrato nessuno. Raggiunta quindi Artegna, ci rendemmo subito conto della gravità della situazione: nelle vie del paese si procedeva a fatica in mezzo alle macerie. Nella piazza della Chiesa, vicino al Municipio, trovammo allestito un piccolo pronto soccorso gestito, dalla sera del sei, dall’ostetrica del paese che, con l’aiuto del marito e di una volontaria, aveva ininterrottamente fatto fronte alle richieste di soccorso. Furono davvero felici di vederci, soprattutto la signora che era quasi al collasso per lo stress e la fatica cui si era sottoposta. Dopo aver velocemente scaricato i mezzi, montammo due tende, una adibita ad ambulatorio, la seconda per creare una piccola farmacia. Nel frattempo l’ambulanza, alla guida dell’instancabile Merlo, iniziò a operare senza sosta per soccorrere e trasportare i tanti feriti all’ospedale di Udine.

Operammo senza sosta con i pochi mezzi che avevamo a disposizione. Il nostro gruppo si andò allargando con il passare delle ore: dapprima si misero a disposizione due giovani, una ragazza che conosceva tutto del paese e un ragazzo munito di motorino che, tramite la rete dei radio amatori ci procurava ogni cosa di cui sorgesse necessità; poi, due suore ci offrirono la loro opera e furono subito impiegate nella gestione della farmacia. Arrivarono anche altri medici da Trieste e da Reggio Emilia.

Il primo giorno fu intensissimo, con una temperatura estiva, ma solo verso mezzanotte, sopraffatti dalla stanchezza, raggiungemmo il torrente per rinfrescarci. Il giorno seguente iniziammo di mattina presto con 2500 vaccinazioni per la popolazione. A metà del terzo giorno arrivò da Torino una seconda squadra, composta da Cabodi, Galliano, Macario, Pasquino, Vianco, a capo di una colonna di aiuti inviati dalle pubbliche assistenze piemontesi. I nuovi arrivati si trovarono, oltre all’impegno di prestare aiuto alla popolazione, anche quello di trasferire il campo, poiché una forte scossa delle sei di quella mattina aveva reso pericolosa la zona vicino al Municipio, sede del nostro punto operativo.

Quando nel pomeriggio del quarto giorno arrivò il nostro cambio con a capo Pier Mario Rosso, fummo dispiaciuti di dover lasciare tutto ciò che in quattro giorni avevamo messo in piedi, pur riconoscendo dentro di noi che la resistenza fisica ed emotiva era veramente al limite. Ho riassunto in poche righe la cronaca dei quattro indimenticabili giorni trascorsi ad Artegna sotto l’incubo del terremoto, ma occorrerebbero davvero molte pagine per parlare dei tanti aneddoti, delle persone e dei loro volti, dell’umanità trovata in quei luoghi di sofferenza.

Nel 2006, con Merlo e Rosso, in occasione del trentennale del terremoto, siamo ritornati ad Artegna, dove abbiamo incontrato persone che ancora si ricordavano di noi, abbiamo rivisto luoghi che per trent’anni erano rimasti nel nostro cuore e nella nostra memoria, e che lì continueranno a rimanere per sempre.

Dopo l’intervento iniziale della prima squadra, dalla Croce Verde partirono solo dei mezzi per il trasporto dei materiali di vario genere che erano raccolti a Torino. Così successe da tutte le regioni italiane. Non esisteva una protezione civile organizzata (da lì nacque poi il primo nucleo nazionale sotto la guida di Zamberletti), non esistevano campi organizzati, ma gli sfollati erano ricoverati solo nelle baracche. Il coordinamento dei soccorsi è stato attivo solo all’inizio per smistare le squadre di primo soccorso. In seguito, l’arrivo del materiale non era organizzato (ognuno mandava quello che raccoglieva) e lo smistamento era un po’ un ”assalto alla diligenza”. Esisteva un minimo di assistenza medica, dopo la prima fase critica di soccorso per la raccolta dei feriti, fatta da medici volontari per le operazioni di vaccinazione, ecc.


Dal sito www.protezionecivile.gov.it

Militari, civili, volontari impegnati nelle operazioni di scavo e nelle prime cure ai feritiIl terremoto venne avvertito in quasi tutta l’Italia centro-settentrionale, fino oltre Roma. La zona maggiormente colpita fu la media valle del Fiume Tagliamento, ma i paesi interessati dai danni furono numerosissimi. In totale 119 comuni nelle province di Udine e Pordenone subirono danni più o meno gravi. Nonostante fosse conosciuta l’elevata sismicità della regione ed in particolare della zona di passaggio tra la pianura ed i rilievi montuosi, la maggior parte dei comuni gravemente danneggiati, come ad esempio Buia, Gemona ed Osoppo, non erano classificati sismici e non erano quindi soggetti all’applicazione di norme specifiche per le costruzioni,
Il danno al patrimonio edilizio fu enorme ed anche l’impatto sull’economia fu notevolissimo: circa 15.000 lavoratori persero il posto di lavoro per la distruzione o il danneggiamento delle fabbriche.

Nelle ore che seguirono la violenta scossa, la forte presenza militare in Friuli consentì, fortunatamente, che le operazioni di soccorso fossero sufficientemente rapide ed efficaci, facilitando lo sgombero delle macerie, l’allestimento di ricoveri provvisori e cucine da campo, la riattivazione dei servizi, riducendo così i disagi ai terremotati. Il sisma del 1976 in Friuli ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica; peraltro fu anche il primo terremoto in cui “la diretta” televisiva portò le immagini del dolore e della distruzione in tutte le case italiane.

La scossa del 6 maggio fu seguita da numerosissime repliche, alcune delle quali molto forti; in particolare la scossa del 15 settembre, alle ore 10:20, magnitudo 5.9 (Maw), che raggiunse l’intensità del VIII-IX grado MCS provocando 12 vittime, ulteriori distruzioni ed aggravando il danno già causato dal terremoto del 6 maggio agli edifici non ancora riparati.

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Parma, 18 agosto 1990: il ricordo dell’elicottero Charlie Alpha

18 agosto 2015 – Ricorre oggi il venticinquesimo anniversario della tragedia di Charlie Alpha, quando l’elisoccorso del 118 si schiantò sul monte reggiano causando la morte di quattro soccorritori.
Questa mattina a Parma verrà ricordata la tragedia del 18 agosto 1990, quando l’elisoccorso del 118 dell’ospedale Maggiore si schiantò contro il monte Ventasso a causa della scarsissima visibilità generata dalla nebbia.
A bordo dell’elicottero Echa – nome di riconoscimento Charlie Alpha – si trovavano il pilota Claudio Marchini, il medico anestesista Anna Maria Giorgio, gli infermieri Corrado Dondi e Angelo Maffei. Erano partiti dalla centrale operativa del 118 di Parma per raggiungere Sologno di Villa Minozzo, dove un uomo era rimasto ferito da un colpo di fucile. Nel viaggio lungo la dorsale dell’Enza sino al reggiano trovarono una scarsissima visibilità, e alle 8.25 l’elicottero si scontrò contro le rocce della parte più elevata del monte Ventasso, sul versante ramisetano della vetta.
Nello scontro, tutti e quattro i componenti dell’equipaggio morirono sul colpo.
Una vicenda che segnò tutto l’appennino emiliano, e le tantissime persone che ogni giorno – allora come oggi – operano nel soccorso nelle zone più difficili da raggiungere.
Charlie Alpha, Parma 
Marco Boselli: “Non doveva esserci quella nebbia e quella foschia in una giornata di sabato d’agosto. Ma Charlie Alpha non esitò e non tentennò un istante a tracciare la rotta verso quel luogo dove c’era una speranza di vita per un uomo, speranza che solo Charlie Alpha poteva dare. E nemmeno quelle nuvole lo fermarono nel varcarne l’ostile oscurità per cercare l’azzurro del cielo. Sul monte Ventasso, a quota 1670 metri, c’è una croce su una pietraia; su un sasso levigato quattro nomi: Annamaria, Corrado, Angelo e Claudio -Caduti in missione. Nei giorni di azzurro dai campi del Circolo, guardando per rotta 179, si può scorgere la pietraia del Monte Ventasso dove accadde la tragedia di tutti. Per i loro cari e per tutti noi rimarranno sempre scolpiti nel cuore”.
 

A Parma, il servizio di elisoccorso è attivo da 27 anni: il primo intervento fu il 19 luglio 1988 a Varsi. L’elisoccorso è un’attività dei servizi d’emergenza 118 estesa in tutta Italia, che prevede l’utilizzo di elicotteri attrezzati per le emergenze sanitarie, l’intervento in tempi rapidi e la tempestività dell’ospedalizzazione, con la possibilità di scelta del luogo di cura più idoneo per la patologia. 

Il sistema dell’emergenza parmense
Esteso all’intero territorio provinciale, il Sistema dell’Emergenza parmense comprende la Centrale operativa 118 “Parma Soccorso” e l’elisoccorso dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, oltre all’indispensabile fitta rete del volontariato (pubbliche assistenze Anpas e Croce Rossa). Il Sistema assicura una copertura capillare del territorio e un soccorso tempestivo anche nelle zone più disagiate. L’elisoccorso, inoltre, effettua servizio anche nelle province di Piacenza e Reggio-Emilia oltre che nelle zone di confine con le province di Mantova, Cremona, Lucca e Massa. Il Sistema, proiettato in una logica sovra-provinciale, è inserito all’interno della rete regionale ed è organizzato anche per fronteggiare i grandi eventi avversi, le calamità naturali, le alluvioni e i terremoti.
Nel corso del 2014 si concretizzerà inoltre la realizzazione a Parma della Centrale operativa 118 “Emilia Ovest”, che gestirà tutte le chiamate di soccorso provenienti dalle province di Piacenza e Reggio-Emilia. In questo contesto operano gli infermieri specializzati della Centrale operativa 118 attivando la fase dei soccorsi alla persona e, a seconda delle situazioni, predisponendo il ricovero del paziente.
 
Il servizio di elisoccorso

L’attività prevalente è il soccorso primario, cioè quello eseguito direttamente sul luogo dell’evento. Altrettanto importante è l’attività di trasporto da ospedale a ospedale, in particolare verso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, centro di riferimento regionale (secondo il modello Hub & Spoke per la concentrazione dei casi più complessi) per le seguenti elevate specialità: Trauma center, Neurochirurgia, Cardiologia e Cardiochirurgia, Neuroradiologia, Nefrologia, Clinica Chirurgica e trapianti d’organo, Ematologia e Centro trapianti midollo osseo, Centro Ustioni e Terapia intensiva neonatale.

Nel 1° semestre del 2015 gli interventi sono stati 447, con un andamento in crescita rispetto al 2014 e al 2013, quando l’elisoccorso si levò in volo rispettivamente 808 e 747 volte. Analizzando i dati per codice di gravità, sempre nei primi sei mesi del 2015 il 20,8% ha riguardato i codici rossi il 47,68% i codici gialli, il 31,3 i verdi e solo nello 0,3% dei casi non c’è stato bisogno del ricovero (codici bianchi).

Gli interventi della Centrale Unica Emilia Ovest nei primi sei mesi del 2015 sono stati 56.197. Di questi 20.888 hanno riguardato la provincia di Parma, 22.694 quella di Reggio Emilia , mentre 12 615 hanno interessato il territorio piacentino.I mesi di maggiore attività dell’elisoccorso sono solitamente quelli estivi, da giugno a settembre. L’elicottero può alzarsi in volo a partire dalle 7.30 fino al tramonto e in condizioni metereologiche che consentano una visibilità pari a 1 chilometro in orizzontale e 150 metri in verticale.

Dal momento della richiesta di soccorso, l’elicottero è pronto per decollare in 2 minuti e 30 secondi circa. Il tempo di volo medio è di circa 12 minuti e 30 secondi: per raggiungere l’Autostrada del sole, per esempio, occorrono 5 minuti, per arrivare a Corniglio 10 minuti.

Ogni equipaggio dell’elicottero BK 117 in dotazione alla Centrale operativa 118 Emilia Ovest è composto da un medico rianimatore anestesista (presente a turno dagli ospedali di Parma, Piacenza e Reggio-Emilia), e due infermieri entrambi appartenenti alla struttura dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma di cui uno, HCM (Helicopter Crew Member), con compiti prevalenti di coordinamento della missione e gestione della sicurezza ed uno con prevalente funzione di tipo assistenziale. A Parma gli infermieri coordinatori volano in media circa 60 ore all’anno ciascuno. In totale, tra medici, infermieri, piloti e tecnici della manutenzione sono 92 le persone che partecipano al servizio di elisoccorso.

L’elisoccorso, oltre che nelle province di Parma, Piacenza e Reggio-Emilia, effettua servizio anche nelle zone di confine con le province di Mantova, Cremona, Lucca e Massa. Il Sistema è inserito all’interno della rete regionale ed è organizzato anche per fronteggiare i grandi eventi avversi, le calamità naturali, le alluvioni e i terremoti.

 

 

 

 

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I segni forti del fuoco: l’incidente di Viareggio e il soccorso dei volontari

I segni forti del fuoco: l’incidente di Viareggio e il soccorso dei volontari

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Il 29 giugno 2009 alle ore 23:48, nei pressi della stazione di Viareggio, un deragliamento del treno merci 50325 Trecate-Gricignano provocò un incendio di grandi proporzioni a causa della fuoriuscita di gas da una cisterna contenente GPL. In totale si contano 31 morti (33 contando i due deceduti per infarto) e 25 feriti.
I volontari della Croce Verde di Viareggio, colpiti anche loro dall’incendio data la vicinanza tra il luogo dell’incidente e la sede associativa, riuscirono a intervenire portando assistenza alle vittime.

 

Il racconto di Carla Vivoli, attuale presidente della Croce Verde e in turno con la quarta squadra la sera dell’incidente.

Molti dei volontari della Croce Verde si recano sul luogo dell’incendio sin quella che fu la “zona rossa” provvisoria. Viene allestito un PMA nella Questura, sul lato Monte. Molti dei mezzi vengono distrutti dall’incendio, gli stessi locali dell’associazione vengono danneggiati. Contemporaneamente arrivano mezzi delle pubbliche assistenze della Toscana a supporto.

 

 

 

“La Croce Verde porta i segni forti del fuoco, dello sgomento, delle prime vittime quasi sulla porta di casa, si sente nell’aria perfino l’odore della distruzione” ha scritto Milziadi Caprili (all’epoca presidente della Croce Verde). “Rimane lo sgomento di una tragedia che non ha niente di naturale, che non dipende dalla pioggia, o da un terremoto ma dal fatto che la sicurezza vien scambiata con il profitto; che i controlli sono rallentati e i controllori licenziati per esubero”, continua Caprili.“Se questo nostro lavoro dovesse servire a mantenere la memoria di quanto è accaduto saremmo già soddisfatti. Se poi si dovesse anche dire di noi, della passione dell’impegno delle nostre volontarie e dei nostri volontari, ne saremmo felici”.
Fonte: La Croce Verde Racconta – Testimonianze di una notte (Andrea Nardi-Marco Olivi)

 

 

        



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Archivio storico: il terremoto della Marsica

Le pubbliche assistenze dell’Abruzzo e il racconto del terremoto della Marsica nell’anno del Centenario.

Avezzano, Italy, Earthquake of January 13, 1915. Scenes of Avezzano, Italy, Earthquake. Every street was like this

Avvenne alle ore 07:53, e fu dell’XI grado della Scala Mercalli (7.0 Richter) con epicentro nella conca del Fucino, ma l’ondata sismica colpì anche alcune zone dell’Italia centrale al confine col Lazio e la Campania, con effetti pari o superiori al VII grado Mercalli. Le vittime, secondo studi recenti, raggiunsero complessivamente il numero di 30.519. Avezzano, principale centro amministrativo dell’area, perse più dell’80% dei suoi abitanti (10.700 morti su un totale di poco più di 13.000 residenti), Gioia dei Marsi il 78%, Albe il 72%, Ortucchio e Pescina il 47%. Gli effetti più distruttivi interessarono non solo l’area del Fucino ma anche la Val Roveto, il Cicolano e la zona di Sora, nel Frusinate.

«Coloro che giunsero sul luogo il giorno 13 e il seguente udirono le rovine risuonare di grida, di gemiti, videro membra vive sporgersi fra le travi e i calcinacci, sentirono agonizzare intorno a sé tante vite per cui la salvezza il soccorso era disastrosamente insufficiente. Anche questa volta l’opera privata fu più sollecita che l’azione governativa, quantunque entrambe troppo impari al bisogno. Quel che sarebbe stato prezioso e lodevole il primo giorno diventa insufficiente e criticabile il quarto e il quinto», racconta Giovanni Cena, accorso nei luoghi del terremoto e che descrive in un reportage in cui propone la protezione civile e il servizio civile che verrà «Il disastro ha fortemente provato la terra e l’uomo, ma non li ha distrutti. L’uomo anela a rifarsi un focolare, un ambiente, una vita sociale sulla terra che ama. Aiutiamoli a fare da sé! Il terremoto è una guerra. Vi sono delle difese preventive, le abitazioni antisismiche. Ma noi abbiamo troppe maravigliose città monumentali per immaginare che in un prossimo avvenire gl’italiani vi rinuncino per fabbricarsi delle città di legno, e intanto dobbiamo pure pensare alle sconfitte che questa guerra potrà ancora infliggere.

La guerra vuole una milizia. L’ideale della guerra moderna non è di creare dei cataclismi rapidi e intensi per imporre la pace! E poiché questa guerra infierisce su donne e bambini, ma è anche vero l’opposto: le energie si esaltano, l’incuranza della propria vita dove infuria la morte suscita gli atti eroici.

Questa milizia resterebbe sempre inoperosa perché il terremoto è raro. Essa non potrebbe esercitarsi, perché non si può allestire un terremoto artificiale. Stessa obiezione potrebbe farsi per la guerra. Eppure per la guerra vi si dedica una preparazione permanente e meravigliosa per la sua complessità. Un servizio obbligatorio per la gioventù essendo utile all’individuo quanto alla società, io penso che il servizio militare evolverà verso un servizio civile e sociale. Vi è un piccolo esempio in italia di milizia sociale. I giovani di Saint Rhèmy, ultimo nostro paesello verso il gran san bernardo sono esentati dal servizio militare, ma obbligati per dieci anni a tenere sgombra la strada dalla neve e ad accompagnare i viaggiatori, durante l’inverno, al famoso valico alpino

L’educazione moderna può facilmente preparare la gioventù a questo compito patriottico e sociale. Incominciando dalle scuole elementari, invece di una ginnastica a vuoto, s’insegnino gli atti della pubblica assistenza. I ragazzi esploratori ora addestrati quasi soltanto alla vita militare, imparino questa nuova forma. Le società sportive preparino i loro membri a questo servizio sociale, ne saranno nobilitate.

L’Italia, cui la natura è prodiga di meravigliosi doni e di tanti elementi di sventura, può dare all’umanità questo nuovo esempio e una nuova milizia che incarni un patriottismo, un eroismo profondamente umano, di fronte al quale la difesa materiale delle frontiere non è che il primo gradino». 

 

Avezzano: i volontari della Croce Verde Civitella Roveto al monumento di Avezzano

Radici spezzate – Il terremoto della Marsica raccontato da INGV

FarAnpas: l’esercitazione di protezione civile a Fara San Martino

Faranpas in 10 foto (a cura del gruppo comunicazione Anpas Abruzzo)



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Il montaggio della tensostruttura in timelapse (di E. Bruni)

 

Nel 2009 l’Archivio storico di Anpas Nazionale ha ricevuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali – So­vrintendenza Archivistica per la To­scana la dichiarazione di interesse culturale in quanto esso costituisce “una fonte di primaria importanza per lo studio dell’associazionismo di pubblica assistenza in Italia” e per documentare la storia sociale, la tradizione e l’innovazione dell’assistenza pubblica in Italia

L’inaugurazione dell’Archivio storico di Anpas

Consulta l’archivio storico Anpas online

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Come e quando consultare l’Archivio Storico Anpas. L’Archivio storico di Anpas nazionale e del Comitato Regionale Anpas Toscana si trova in Via Pio Fedi 46/48 a Firenze.   È possibile la consultazione on line degli inventari attraverso la piattaforma informatica OsseeGenius.  La consultazione dei fondi archivistici è aperta ad utenti esterni previo appuntamento dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 17.00.  

Per gli appuntamenti per la consultazione dell’Archivio scrivere a: segreteria2@anpas.org – formazione@anpastoscana.it 

Tel. +39 055.303821 – 055.787651

 

 

Archivio storico: il terremoto della Marsica Leggi tutto »

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