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“In buone mani” – il racconto di Michela
Mi chiedo come sia possibile tutto questo.
Ho un attimo di sconforto e fisso a terra. Non so esattamente quanto tempo passa, ma la vista mi si annebbia e mi scende una lacrima.
Cerco di farmi forza e mi rialzo per andare a controllare la persona da noi trasportata in ospedale.
Ho il mio compagno di squadra a fianco, entrambi cerchiamo di guardarci negli occhi nonostante gli occhialini pieni di condensa, scambiandoci una parola di conforto ed un sorriso che non può esser vissuto a pieno visto i dispositivi di protezione addosso.
Chissà quando potrà salire su la paziente. In questo momento non è possibile, dobbiamo attendere ci dicevano.
Siamo in fila, siamo la quarta ambulanza ad attendere e purtroppo ostacoliamo pure il passaggio.
Siamo arrivati alle 14 ed è già passata un’ora. Un’infermiera molto gentile e disponibile è scesa a controllare i pazienti da noi trasportati.
Tutti stiamo bene, ma l’attesa sarà lunga e il freddo della giornata si fa sentire soprattutto perché siamo in una zona d’ombra dove si infrange il vento.
Ci troviamo a Cisanello, nel percorso pronto soccorso Covid e la mia mente viaggia nell’attesa, faccio riflessioni.
Portiamo via le persone dalle loro case e le trasferiamo da ospedale ad ospedale cercando di rassicurarle nel breve tragitto percorso, ma guardo i loro occhi e ascolto le loro parole e mi si riempie il cuore, non solo di rabbia, ma di dispiacere e sconforto.
Cerco di essere disponibile, mantenendo le distanze e prendendo i parametri per assicurarci la loro stabilità.
Sono persone, sono esseri umani. Noi siamo volontari, operatori sanitari, ma non è facile caricarci di così tante emozioni: la nostra mente ed il nostro corpo ne risentono.
La persona da noi trasportata è riuscita a salire in reparto qualche ora dopo.
La nosta vestizione completa è stata fatte alle 13.30, ma solo alle 19 ci siamo liberati da questo abbigliamento.
Era difficoltoso respirare e camminare. Ma la soddisfazione più grande è stata quando ho avuto il piacere di contattare il familiare e rassicurare che il proprio figlio fosse salito e in buone mani, pronto a ricevere le giuste cure.
Il ringraziamento e la voce tremante del padre è stata una rassicurazione del lavoro che facciamo.
Michela Massei, pubblica assistenza Fornacette – Anpas