Determinate, volenterose e concrete. Le donne che in questi 110 anni di storia delle pubbliche assistenze hanno dato il loro contributo al movimento sono tante e indimenticabile è stato il loro preziosissimo aiuto nei momenti terribili dei conflitti bellici. Il loro impegno è stato e continua ad essere prezioso sia nelle attività più dure, come nei soccorsi e nella protezione civile, sia nell’organizzazione dei servizi di accoglienza e solidarietà. Nel movimento delle pubbliche assistenze le donne esercitavano il diritto al voto molto prima del riconoscimento del suffragio universale in Italia ma nella storia delle pubbliche assistenze è stranamente difficile trovare la cronaca della loro presenza.
Nel 5° Congresso Nazionale che si tenne ad Ancona nel settembre del 1908 fu deciso di ampliare il consiglio federale portando il numero dei componenti da 12 a 32. Di quel consiglio entrò a fare parte per la prima volta una donna: la poetessa Ada Negri considerata emblema del volontariato sociale, di quei valori ideali che spingevano i militi alla scelta di volontariato. Nel 1919, nel primo congresso dopo la fine della prima guerra mondale, furono elette nel consiglio due donne: Maria Nenci della Rossa e la marchesa Olimpia Antinori Tocchi.
Secondo il Presidente Fabrizio Pregliasco “In Anpas la rappresentanza femminile purtroppo non è cresciuta molto da quegli anni lontani ed è ancora, dal mio punto di vista, bassa. Tra i volontari i 2/3 sono uomini e anche nelle cariche associative il lavoro da fare è ancora molto. Mi rendo conto che è necessario uscire dallo ‘’stereotipo’’ che le donne hanno “meno tempo da dedicare” e sono “meno flessibii’’.
Il mio impegno per la valorizzazione dei talenti femminili sarà sincero e convinto perché credo fortemente nella sinergia degli sguardi maschile e femminile per svolgere al meglio la nostra delicata missione. Una riflessione sul 25 novembre, giornata dedicata alle donne vittime di violenza: voglio sottolineare che mi affascina poco una giornata in cui si spendono migliaia di parole e si investono molte risorse per organizzare eventi, utili certamente per farci ricordare l’importanza del tema, ma poi? Poi restano i costi sociali, sanitari e legali della violenza, restano i figli orfani della madre e anche del padre che è il killer della madre, resta la solitudine, l’abbandono e la disgregazione di nuclei familiari. Restano i volontari che soccorrono le donne che hanno il coraggio di chiamarci, restano i centri che le accolgono, restano gli operatori e le operatrici, molto spesso volontari e volontarie. Resta chi davvero ogni giorno dell’anno è impegnato nella prevenzione, nel soccorso e nella cura. Bisogna parlarne di più, e bisogna avere anche il coraggio di dire che la violenza alle donne non è un problema di sicurezza, ma di relazioni malate”.
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