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Prima lauree in Engineering for Natural Risk Management
Sono state conseguite oggi, al Campus Universitario di Savona – Università degli Studi di Genova, le prime lauree di Engineering for Natural Risk Management, il nuovo corso laurea magistrale
L’essere umano si confronta da sempre con i rischi naturali; oggi, la scienza può dare un contributo fondamentale per affrontarli, fornendo strumenti non solo di previsione ma anche di pianificazione, che supportino le attività di protezione civile. Improntato alla multi-disciplinarietà, il corso di laurea magistrale in Engineering for Natural Risk Management (Ingegneria per la gestione dei rischi naturali) unisce tali competenze tecniche, affrontate in un’ottica multi-rischio, ai temi di gestione e coordinamento. Il percorso didattico copre pertanto tutti gli aspetti del ciclo della gestione del rischio, dalla conoscenza scientifica dei processi fisici che producono diversi rischi naturali, alle tecniche di valutazione, fino alla gestione operativa delle emergenze e la comunicazione del rischio con le relative tecnologie.
Interamente tenuto in lingua inglese, per favorire lo scambio internazionale di e con gli studenti e gli esperti esteri, la laurea magistrale in Engineering for Natural Risk Management prevede anche attività pratiche e tirocini formativi.
Il presidente di Fondazione CIMA, Luca Ferraris, con la sua candidata
Fondazione CIMA, il cui scopo è promuovere lo studio, la ricerca scientifica, lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione nell’ingegneria e nelle scienze ambientali per la protezione civile e la salvaguardia degli ecosistemi acquatici e terrestri, supporta gli obiettivi del corso anche mettendo a disposizione laboratori, ricercatori e personale amministrativo. In questo senso, Luca Ferraris, presidente di Fondazione CIMA, e Marina Morando, referente dell’ambito Pianificazione e Procedure, sono stati rispettivamente relatore e correlatrice di una delle tesi discusse oggi. Intitolata “Metodologie di mappamento del rischio alluvionale a scala locale per la protezione civile”, il lavoro di ricerca era dedicato alla pianificazione per la riduzione del rischio di alluvioni, affrontato anche tenendo in conto la capacità dei sistemi, un parametro introdotto solo di recente e riferito alle risorse e ai punti di forza che una comunità può mettere in campo per affrontare un rischio naturale.
«Crediamo profondamente nell’importanza di questo corso di laurea, che consente di affrontare in modo completo il tema della protezione civile, unendo alle conoscenze scientifiche anche una formazione in temi storicamente associati a percorsi più umanistici», commenta Luca Ferraris. «E per questa ragione, è una grossa soddisfazione vedere oggi, e aver presentato come relatore, i primi laureati del corso».
L’abstract della tesi di Lucia Mortara
UNA METODOLOGIA PER LA DEFINIZIONE DEL RISCHIO ALLUVIONE A LIVELLO
LOCALE AI FINI DI PROTEZIONE CIVILE
Lucia Mortara, Luca Ferraris, Marina Morando
29 Ottobre 2019
L’obiettivo di questa tesi magistrale è la definizione di una metodologia che, a partire da informazioni di
vulnerabilità e capacità raccolte a scala puntuale sugli elementi esposti grazie ad un approccio partecipato
basato sul coinvolgimento di autorità, portatori di interesse e cittadini, possa essere uno strumento
operativo a disposizione delle autorità comunali che supporti i processi decisionali e aiuti a definire azioni e
procedure da compiere per gestire al meglio un’emergenza, da formalizzarsi poi nei Piani di Protezione
Civile comunali.
La riduzione del rischio da disastri è un problema globale da conoscere e da trattare con lo scopo di ridurre,
nel minor tempo possibile, gli impatti dei disastri sulle comunità. Il più recente framework di riferimento in
materia è il Sendai Framework for Disaster Risk Reduction 2015-2030, che si pone l’obiettivo non solo di
ridurre il rischio, ma anche di fornire le linee guida da adottare per affrontare e gestire nella maniera più
efficace possibile tale problematica. In Europa, tra gli eventi naturali più frequenti, le inondazioni hanno
causato le conseguenze più dannose per persone, ambiente e tessuto sociale ed economico. Il rischio
alluvione è oltretutto destinato a crescere, così come il numero di persone e beni esposti, sia a causa del
cambiamento climatico che della continua urbanizzazione. La necessità di conoscere e gestire questo
rischio, nonché di ridurne gli impatti in Europa, ha dato luogo nel 2007 all’emanazione della “Direttiva
alluvioni”, che definisce le linee guida da adottarsi in ogni Stato Membro per fronteggiare il rischio
alluvione. Particolare attenzione viene data alla mappatura di pericolosità e, successivamente alla
definizione degli elementi esposti nelle aree interessate, di rischio, grazie alle quali si può essere
consapevoli del livello di rischio su un determinato territorio. L’Italia non è esclusa da questo contesto: il
rischio alluvioni è piuttosto elevato, nonché un problema che riveste una rilevanza sociale non trascurabile,
sia per il numero di persone coinvolte sia per i danni e gli impatti provocati ad abitazioni, industrie o
infrastrutture. Circa il 23% del territorio italiano è esposto al rischio alluvione, e 7.275 Comuni italiani,
corrispondenti a circa il 91% del totale, sono soggetti a inondazioni o frane [ISPRA, 2018].
La Protezione Civile si inserisce in Italia proprio in questo contesto che vede la necessità di gestire al meglio
i rischi e gli impatti che essi provocano sul territorio. “La protezione civile non è un compito assegnato a una
singola amministrazione, ma è una funzione attribuita a un sistema complesso: il Servizio Nazionale della
Protezione Civile. Istituito con la Legge n. 225 del 1992 il Servizio Nazionale ha come sue componenti le
amministrazioni centrali dello Stato, le Regioni e le Province Autonome, le Province, i Comuni, le Città
metropolitane e le Comunità montane. Dal 2018, Il Servizio Nazionale è disciplinato dal Codice della
Protezione Civile (Decreto Legislativo n.1 del 2 gennaio 2018), con il quale è stata riformata tutta la
normativa in materia” [www.protezionecivile.gov.it]. Il Codice definisce attività, responsabilità e
competenze di ogni componente del sistema, ovvero le autorità ai diversi livelli territoriali, la comunità
scientifica, le strutture operative e i cittadini. Esso mira ulteriormente alla definizione di un approccio che
riconosca l’importanza fondamentale delle attività di previsione e di prevenzione e mitigazione del rischio.
In particolare, una sempre maggiore importanza viene attribuita alle attività di prevenzione non strutturale,
tra cui assume un ruolo fondamentale la pianificazione di protezione civile. Il prodotto finale del processo di
pianificazione è il Piano di Protezione Civile, lo strumento operativo che definisce responsabilità e
procedure da mettere in atto nel territorio di rifermento nelle situazioni di emergenza. Le attività di
pianificazione di protezione civile rivestono un ruolo importante specialmente a livello comunale, dal
momento che la prima risposta al verificarsi di una qualsiasi emergenza avviene inevitabilmente alla scala
locale. Il Codice ribadisce l’obbligo per ogni Comune di adottare un Piano di Protezione Civile, con lo scopo
ultimo di rafforzare l’intero sistema nazionale, che ne risulterebbe così capace di anticipare, prevenire e
affrontare le situazioni di emergenza gestendo le risorse disponibili nella maniera più efficiente possibile.
Tuttavia, negli ultimi anni i Piani di Protezione Civile hanno mostrato alcune criticità. Spesso la loro
redazione è affidata a tecnici esterni, che non tengono in considerazione le caratteristiche e le risorse locali
nella definizione delle procedure, che risultano poco applicabili alla realtà locale e quindi inefficaci.
Ulteriormente, i piani vengono spesso percepiti dai cittadini come un’imposizione delle autorità, che li
vogliono obbligare a compiere azioni decise precedentemente. Tutto questo comporta una scarsa
conoscenza delle procedure contenute nei piani sia da parte dei cittadini che delle autorità, e di
conseguenza una poco diffusa cultura di protezione civile nella comunità. Spesso i rischi, proprio perché
non se ne ha la consapevolezza, vengono sottostimati e le persone si espongono volontariamente al
pericolo, aggravando il possibile impatto che ne deriva. Il Codice sottolinea l’importanza di considerare
tutte le componenti di una comunità, così come tutte le comunità sul territorio, come parte attiva facente
parte del sistema di protezione civile: non solo le autorità, ma anche i singoli cittadini dovrebbero prendere
parte al processo di elaborazione della pianificazione di protezione civile, al fine di rendere tutti i soggetti
consapevoli dei rischi, delle loro conseguenze e delle azioni da compiere, sviluppando procedure che si
adattino alla realtà locale e siano effettivamente realizzabili sul territorio.
Si delinea così la necessità di un nuovo approccio per affrontare e portare a termine il processo di
pianificazione di protezione civile. Prima di tutto, il rischio deve essere considerato in tutte le sue
componenti definite a livello globale da UNDRR come pericolosità, esposizione, vulnerabilità e capacità.
Quest’ultima in particolare, intesa come “la combinazione di tutti i punti di forza e risorse disponibili in
un’organizzazione, comunità o società che possono essere messi in campo per gestire e ridurre il rischio da
disastri e rafforzare la resilienza” [UNDRR,2016], è una variabile multidimensionale influenzata da un gran
numero di fattori legati a svariati aspetti di una comunità o società, come popolazione, ambiente,
procedure e assetto economico e sociale, e si può riferire a tutte le fasi della gestione del rischio, a partire
dall’anticipazione dell’evento fino alla risposta e all’adattamento ai cambiamenti derivanti. Per tener conto
della capacità nella valutazione del rischio, le analisi scientifiche compiute su più ampia scala, come ad
esempio quella regionale, sono da arricchire con l’esperienza e la conoscenza dei soggetti locali, intesi sia
autorità che cittadini, in modo da ottenere un alto livello di dettaglio nella caratterizzazione di pericolosità,
vulnerabilità e capacità. Questo è tanto più vero quanto più si scende alla scala locale: il territorio di
riferimento per i Piani di Protezione Civile comunali è ovviamente quello comunale, all’interno del quale gli
elementi esposti dovrebbero, e potrebbero grazie al coinvolgimento della comunità, essere caratterizzati
puntualmente in termini di vulnerabilità e capacità. Da queste premesse nasce l’idea di questo progetto di
tesi, con lo scopo finale di proporre una metodologia che sia il supporto operativo su cui sviluppare le
procedure da includere nei Piani di Protezione Civile.
Per sviluppare la metodologia è stato considerato uno scenario di riferimento di un’“alluvione lampo”, dal
momento che è un fenomeno che si sviluppa ed evolve rapidamente e conseguentemente richiede una
ancora più rapida risposta del sistema di protezione civile al fine di tutelare persone e beni.
La metodologia si compone di quattro fasi:
1) La prima fase consiste non solo nell’identificazione dei risultati attesi e dello scenario di
riferimento, ma anche nella definizione del contesto di partenza in materia. In questo caso, il
riferimento normativo è la “Direttiva alluvioni”, secondo cui il rischio viene valutato in quattro classi
secondo una matrice di rischio che combina il danno potenziale con le mappe di pericolosità
ottenute da analisi probabilistiche. Secondo questa classificazione, solo agli elementi situati in aree
inondabili con una certa probabilità viene associata una classe di rischio.
2) La seconda fase consiste nella mappatura locale, ovvero nell’integrazione delle conoscenze dei
soggetti locali per identificare e caratterizzare gli elementi esposti nel territorio di riferimento. In
particolare, per integrare le mappe di pericolosità vengono identificati cosiddetti “punti critici”, che
corrispondono a zone alluvionate durante gli eventi passati o zone depresse rispetto al piano
strada. Ciascuno degli elementi esposti situati in aree inondabili o in aree identificate come critiche
viene poi caratterizzato a livello puntuale con caratteristiche di vulnerabilità, come ad esempio il
numero di piani e la loro funzione, e capacità, in particolare legate all’esistenza di Piani di
Emergenza dell’edificio in esame e quindi di procedure precedentemente definite per affrontare
una situazione di emergenza.
3) La terza fase della metodologia è costituita dal modello vero e proprio, che trasformi le
informazioni di vulnerabilità e capacità in azioni da compiere in quel determinato elemento
esposto. In particolare, vulnerabilità e capacità vengono rappresentate come funzioni di variabili
binarie sia di vulnerabilità che di capacità , identificate a livello puntuale sul singolo elemento
esposto. Gli input del modello sono 7 funzioni congiunte di vulnerabilità e capacità con , che sono
state ordinate con la logica secondo cui ogni possibile problema sia affrontato uno alla volta e in
caso di non superamento della problematica, il modello restituisca immediatamente un output:
– : accesso all’edificio;
– : Piano di Emergenza dell’edificio aggiornato che definisca procedure specifiche per il
rischio alluvione che siano state testate;
– : piani sicuri;
– : sistemi di difesa dalle alluvioni;
– : piani allagabili;
– : spostamento ai piani sicuri;
– : accesso ai piani sicuri.
Ciascuna funzione è stata rappresentata con un diagramma di flusso che racchiuda tutte le variabili
binarie che influenzano quella particolare funzione di vulnerabilità e capacità. Mettendo insieme
tutte le funzioni così ottenute, l’intero modello viene rappresentato come un diagramma di flusso
costituito da 7 livelli, corrispondenti alle 7 funzioni identificate. Gli output del modello sono 4
“classi di rischio e azioni”, in funzione delle quali diverse azioni devono essere compiute nel singolo
edificio in caso del verificarsi di una situazione di emergenza:
– Classe 1: tutte le persone devono rimanere dentro all’edificio, le attività ordinarie possono
continuare perché l’edificio è sicuro;
– Classe 2: tutte le persone devono rimanere dentro all’edificio e portarsi ai piani sicuri, i
possibili problemi sono risolti con le sole risorse interne;
– Classe 3: tutte le persone devono rimanere dentro all’edificio e portarsi ai piani sicuri, per
risolvere i possibili problemi è necessario un aiuto dall’esterno;
– Classe 4: nessuno deve essere all’interno dell’edificio dato che non è sicuro.
4) Una volta applicato il modello, la quarta e ultima fase della metodologia consiste nel ritornare alla
scala comunale e osservare la situazione sull’intero territorio, utilizzando le azioni puntuali
individuati dalle classi del modello per definire le procedure dei Piani di Protezione Civile e in caso
di necessità favorire una priorizzazione degli interventi e un efficiente impiego delle risorse
disponibili.
Per validare la metodologia, è stato sviluppato un caso studio. La metodologia è stata applicata sulle scuole
di Serra Riccò, un comune nell’entroterra della provincia di Genova. Questo territorio riveste un significato
rilevante per l’applicazione della metodologia poiché il centro urbano di Serra Riccò è attraversato dal
fiume Secca: non solo le aree inondabili interessano numerosi edifici, ma il comune è stato alluvionato nel
corso degli eventi più recenti. La scelta è poi ricaduta sulle scuole poiché sono considerate una
fondamentale funzione e un assetto particolarmente critico da proteggere.
Il processo di mappatura locale è stato realizzato grazie al progetto Interreg Italia Francia Proterina-
3Evolution. Sono stati organizzati tavoli di lavoro con le autorità comunali per individuare i punti critici e
sono stati proposti questionari strutturati ai dirigenti scolastici per raccogliere i dati di vulnerabilità e
capacità necessari all’applicazione del modello. Una volta completato il processo di raccolta dati, il modello
è stato applicato per ogni scuola e i risultati sono stati mappati in modo tale da ottenere una visione
complessiva del territorio. Nel territorio comunale di Serra Riccò sono state individuate 7 scuole, di cui
solamente 3 venivano identificati e associati ad un certo livello di rischio secondo “Direttiva alluvioni”.
Questo è dovuto al fatto che la scala di riferimento è molto più ampia e non può tenere conto delle
caratteristiche locali a livello puntuale e che le finalità delle due metodologie sono diverse, dato che una
mira alla riduzione del rischio e alla sua conoscenza, mentre quella proposta a supportare i processi di
pianificazione.
In particolare, la mappatura del rischio allo stato attuale secondo il modello proposto mostra la seguente
situazione:
– 5 scuole in classe 4;
– 1 scuola in classe 3;
– 1 scuola in classe 1.
Questo significa che, in caso ci sia la necessità di intervenire nelle scuole al verificarsi di un evento
alluvionale, le risorse comunali dovrebbero essere distribuite in 6 diversi punti del territorio.
Al fine di fornire una possibile mitigazione del rischio e comprendere l’impatto della componente capacità a
livello puntuale sull’intero sistema territoriale, il modello è stato riapplicato ipotizzando che ciascuna scuola
sia dotata di un Piano di Emergenza aggiornato che definisca procedure specifiche per il rischio alluvione
che siano inoltre state testate, ovvero ipotizzando un incremento della capacità a livello puntuale nei singoli
elementi esposti. I seguenti risultati sono stati poi mappati:
– 3 scuole in classe 4;
– 2 scuole in classe 2;
– 2 scuole in classe 1.
In questo caso, solamente 3 scuole richiederebbero un intervento dall’esterno, mentre le altre potrebbero
gestire la situazione di emergenza con le sole risorse interne.
Confrontando le due situazioni, si nota immediatamente un incremento delle “classi di rischio e azioni” per
tre degli elementi esposti. Questo sottolinea l’impatto della capacità, considerata in termini di procedure
definite all’interno dei singoli elementi esposti, sul livello di rischio. Una prima ed effettiva mitigazione del
rischio può quindi essere ottenuta attraverso l’incremento della capacità a livello puntuale, ovvero
rendendo consapevoli le persone all’interno di ogni edificio delle azioni da compiere in caso di emergenza
grazie alla formalizzazione di procedure. Da sottolineare è il vantaggio che questo processo può essere
realizzato con un apporto economico minimo, anche se con un significativo impegno in termini di tempo.
Un ulteriore vantaggio della metodologia così sviluppata è la sua replicabilità. Definendo le variabili di
vulnerabilità e capacità in funzione della tipologia di elemento esposto per caratterizzare le funzioni del
modello, le “classi di rischio e azioni” possono essere ottenute per tutti gli assetti presenti su un territorio
comunale. Così facendo, si può ottenere un’effettiva rappresentazione del contesto territoriale in termini di
rischio valutato con una metodologia comune che rende i dati confrontabili e aggregabili. La
rappresentazione del livello di rischio su scala comunale ottenuta con un approccio che coinvolga autorità e
cittadini e che tenga in considerazione le caratteristiche locali consente di gestire gli interventi e le risorse
disponibili sul territorio e quindi di definire, e formalizzare nel Piano di Protezione Civile, procedure che si
adattino al contesto locale, alle sue risorse e ai suoi bisogni.