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L’idea di una vettura con a bordo un medico specialista in Rianimazione e un’attrezzatura da ospedale è partita dall’Assistenza Pubblica di Parma e si è diffusa in tutta Italia.
27 marzo 2018 (dal sito www.apparma.org) La storia del soccorso è cambiata radicalmente in tutta Italia grazie alla pubblica assistenza di Parma e a pionieri sognatori come il dottor Paolo Zuccoli, primario del reparto di Anestesia e Rianimazione presso l’Azienda ospedaliera di Parma, e Luigi Jannacone, caposala presso lo stesso reparto.
Trent’anni fa l’obiettivo del soccorso era arrivare presto sul luogo di un evento traumatico o di una grave patologia; la modalità del soccorso era riassunta in uno slogan: “Take and go” (Prendi e vai), arrivare, caricare e portare presto in ospedale.
Chi aveva bisogno chiamava il numero della pubblica assistenza o della Croce rossa. Le competenze del soccorritore erano minime: saper caricare, medicare una ferita, somministrare ossigeno e volare a sirene spiegate al Pronto soccorso.
Zuccoli e Jannacone, entrambi Consiglieri della Pubblica all’epoca, continuavano a vedere pazienti critici arrivare e morire, nonostante le cure eccellenti che si prodigavano a somministrare in ospedale. Bastano, infatti, pochi minuti senza ossigeno al cervello per creare danni irreversibili, dalla morte al coma vegetativo, e così proposero al Consiglio della Pubblica di istituire un’automedica, a bordo della quale potessero viaggiare un medico specialista in Rianimazione e un’attrezzatura da ospedale, per poter effettuare un cambiamento radicale nella filosofia del soccorso e istituire una nuova modalità “stay and play” (rimani e agisci). Per la prima volta, anziché portare il paziente in ospedale, si tentava di portare l’ospedale al paziente.
Questa rivoluzione comportò notevoli costi a carico della Pubblica, dal compenso ai medici all’acquisto di mezzi e materiali, all’addestramento dei volontari perché acquisissero nuove competenze. Fu un periodo di grande eccitazione, dove bisognava combattere anche all’interno della Pubblica contro mentalità tradizionaliste che avevano sempre creduto che il soccorso non dovesse cambiare.
Per alcuni anni il servizio fu deriso, chiamando l’automedica “la giostra” e i medici che vi lavoravano per stabilizzare le condizioni critiche dei pazienti, dei “perditempo”.
Ulteriori difficoltà c’erano anche nello spiegare ai parenti delle vittime e al personale del Pronto soccorso quello che si stava realizzando.
Anche la letteratura sul soccorso extraospedaliero era quasi assente e quindi reperire medici ed addestrarli non era semplice.
Come tutte le rivoluzioni, gli effetti si vedono a distanza: oggi la possibilità di essere ben soccorsi è un diritto, il numero unico del 118 è una realtà e il nostro modello è ripreso in tutta Italia.
I medici si preparano ora in maniera adeguata, sta addirittura nascendo una nuova specialità universitaria, e i volontari vengono addestrati con lunghi corsi dalla Commissione didattica dell’Assistenza Pubblica, costituita per lo più da volontari, che operano in modo eccellente istruendo talvolta anche studenti di medicina.
È con grande orgoglio e senso di appartenenza che guardo a questo grande traguardo, avendo partecipato personalmente alla sua realizzazione e avendo vissuto l’esperienza, prima come medico operatore, poi come Consigliere e infine come Direttore sanitario.
La “Papa 30” (il nome dell’automedica utilizzato per le conversazioni via radio) ha compiuto 30 anni e mi sembra quindi un’ottima occasione per ringraziare coloro che hanno partecipato alla realizzazione di questo grande sogno che è diventato realtà. Tutti quanti, anche chi ha fatto solo un turno, o chi è stato attento alle scadenze dei medicinali, chi ha lavato un’ambulanza dopo un soccorso o risposto ad una telefonata al centralino o fatto semplicemente una donazione anche piccola, come può essere la tessera di socio dell’Assistenza Pubblica. Vorrei ringraziare tutto il corpo militi volontari, i dipendenti, i medici, il Consiglio attuale e quelli precedenti che hanno contribuito al nostro successo, nonché l’Amministrazione Comunale e l’Ausl che provvedono ad un rimborso parziale del servizio.
Dott. Rami Haidar