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Anpas – associazione Nazionale delle pubbliche assistenze – saluta l’amico MASSIMO PAOLICELLI, attivista del movimento delle Non-Violenza, con cui abbiamo condiviso anni di lotte per affermare il diritto all’Obiezione di Coscienza nel nostro Paese.
Si sono celebrati a Roma sabato scorso i funerali di Massimo Paolicelli, morto a 48 anni per un grave male nel giorno di Ognissanti. Massimo è stato ricordato dalla famiglia e dai suoi tanti amici, provenienti dal mondo della pace, dell’obiezione di coscienza, della nonviolenza e dell’ecologismo, dei quali è stato in questi anni protagonista. Obiettore di coscienza presso Caritas di Roma a metà degli anni ’80, Massimo è stato impegnato prima nella LOC e poi come Presidente dell’associazione Obiettori Nonviolenti, svolgendo anche due mandati nella Consulta nazionale per il servizio civile. Un “mite” secondo Pax Christi, da esperto competente e preparato ha sempre seguito i temi della nonviolenza e del disarmo, curando vari studi e libri, anche all’interno della Campagna “Sbilanciamoci!”, che lo ha ricordato con commosse parole insieme a quelle di tanti suoi amici. Nella sua lettera di saluto, letta durante il funerale, Massimo ha lasciato scritto: «Tante gocce possono scalfire la roccia, cerchiamo di scalfire la roccia dell’indifferenza e dell’egoismo e costruiamo, in nome di Dio, un mondo di giustizia, pace e solidarietà».
Il ricordo di MARCO DAMILANO (da l’Espresso)
In questa bella foto sono riassunte tutte le passioni di Massimo Paolicelli: la macchina fotografica, la bandiera della pace, la militanza. Massimo è morto due giorni fa, a soli 48 anni, portato via da un male vigliacco. Era un mio amico e non ho fatto in tempo ad abbracciarlo per l’ultima volta, l’ho sentito al telefono una settimana fa, era sereno e perfino allegro, come sempre. Se ne parlo non è per motivi personali ma perché mi sembra ora urgente ragionare su una domanda: chi è, chi è stato Massimo Paolicelli? È stato un personaggio importante per l’associazionismo italiano, d’accordo, nella Lega obiettori di coscienza, la mitica Loc, e poi nell’associazione obiettori non-violenti, e in mille altre iniziative di base: dal gruppo di amicizia con i disabili in parrocchia alla cura dell’agenda dei comportamenti di pace su cui si sono formate diverse generazioni di pacifisti. Un attivista, dunque, con la borsa sempre piena di volantini, sempre pronto a coinvolgerti in qualche iniziativa, sempre disponibile a partire per rendere testimonianza delle sue idee, fosse pure per parlare a una platea di quattro o cinque persone. Eppure era il contrario del fanatico: di una dolcezza disarmante. Non aveva bandiere, se non quella arcobaleno che lo ha accompagnato ieri nell’ultimo viaggio, era senza eserciti, bande, tribù e senza partiti, anche se nel movimento dei Verdi aveva militato e si era più volte candidato a livello amministrativo. Ma tutto questo non basta a esaurire la domanda di partenza, a spiegare il caso Paolicelli, la vicenda di un italiano normale e straordinario. Ha vissuto anni felici per le battaglie pacifiste, in un contesto ricco di maestri e testimoni, da don Tonino Bello a don Luigi Di Liegro cui aveva voluto bene come a un padre. Un ambiente forse minoritario, ma ancora popolare, che riusciva a trovare con la politica ufficiale e con la comunicazione la strada di un’interlocuzione difficile, conflittuale ma feconda. Con un momento di svolta: nel 1992 l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga rinviò alle Camere la legge di riforma dell’obiezione di coscienza che era stata votata dal Parlamento, venendo incontro alle pressioni della lobby militare. Da allora in poi il legame si è spezzato. La politica si è allontanata, le parole e le battaglie che Massimo provava a far circolare hanno trovato minore eco sui media. Si è trovato in un deserto, mentre anche le associazioni cominciavano a inseguire i partiti sul terreno delle rivalità, delle gelosie di sigla, delle chiusure burocratiche. Diventava scomodo, lui non se ne lamentava mai, io provavo un gran senso di colpa a vedere che i due mondi, il Palazzo che io racconto e il mondo vitale che lui rappresentava si incontravano sempre di meno. Solo Massimo, in tutti questi anni, è rimasto lo stesso. Un condottiero mite, discreto e gentile. Uno che credeva in quello che fa, che non aveva paura di prendersi le sue responsabilità, che viveva mescolato con la sua gente. Uno che non mollava mai: l’ultima campagna del movimento pacifista, quella contro gli F35, porta la sua firma. Era competentissimo: ho visto alti gradi militari tremare di fronte alla mole di cifre, numeri, dati che era in grado di produrre per metterli all’angolo. Stava da una parte sola, senza possibilità di equivoco, ma di un’umanità travolgente e contagiosa, in grado di scavalcare muri: ne è prova ai suoi funerali la folla di colleghi assistenti parlamentari commossi del Pdl e del centrodestra con cui aveva lavorato. La possibilità di una militanza diversa, senza più una tessera in tasca, un’appartenenza di corrente a stabilire il confine tra il bene e il male, ma solo la propria coscienza e la propria vita, dunque una militanza ancora più intensa. E senza questa militanza, appassionata, generosa, grauita, senza questa riserva etica, senza i Massimo Paolicelli la democrazia si inaridisce, si spegne. Massimo non ha mai perso un minuto da dedicare alla sua famiglia, a Dora, Damiano e Margherita, ai suoi tanti amici. Era un cristiano che, come il re della profezia di Isaia, non ha mai spezzato una canna incrinata e mai ha spento una fiamma smorta. Portava sempre al bavero una spilletta con due mani che spezzano un fucile, il suo sogno di un mondo senza guerre, senza gerarchie, senza poteri. La sua unica divisa.
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