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“Cosa stiamo facendo?” il racconto del viaggio di Cristiana e Niccolò, volontari Anpas, in Nepal per formare gli operatori dell’orfanotrofio Motherhood Care Nepal alle manovre salvavita e alle procedure di primo soccorso
Il giorno della partenza è arrivato in un batter d’occhio. Sembra quasi impossibile essere in aeroporto con Cristiana. Eppure, ci siamo: noi, le nostre valigie colme del materiale necessario alla missione, le nostre divise e le solite piccole preoccupazioni che accompagnano coloro che stanno per affrontare un lungo viaggio, verso un luogo percepito come remoto. In pochi attimi ci troviamo in volo: Bologna, Dubai, Kathmandu, Lalitpur, quasi senza prendere fiato, sentendoci sempre più lontani da casa. Scherziamo, si parla dell’attività che faremo e dell’organizzazione del lavoro, della preparazione messa in atto in questi mesi che ci separavano dalla missione e di ciò che ci si aspetta una volta arrivati.
Arriviamo, il caldo ci sorprende, così come la grande quantità di persone che rumorosamente aspetta gli arrivi in aeroporto. Tutto è andato bene, i bagagli sono arrivati, i visti ci sono stati dati dopo una interminabile fila, il passaggio in albergo è stato puntuale. Iniziamo a guardarci intorno, tanta polvere, percorsi dissestati, fuochi vivi agli angoli delle strade, persone ovunque, traffico congestionato e rumoroso fatto di uno sciame di motocicli che, a bassa velocità, si rincorrono assieme a modelli di autovetture lontani dal nostro immaginario. Preso possesso delle camere in albergo, abbiamo il primo contatto con il nostro referente locale, Tej, che gentilmente ci rintraccia telefonicamente rendendosi disponibile per quanto ci potesse essere necessario.
Alle 17.30 il buio è già calato, le strade non sono illuminate, ci aggiriamo nei dintorni dell’albergo per iniziare a prendere i primi riferimenti. Nonostante il buio, abbiamo fin da subito una percezione di sicurezza, siamo forse un po’ disorientati, ma ci sentiamo sereni. Il giorno seguente inizia l’attività operativa, indossiamo le nostre divise e ci rechiamo nel luogo dove condurremo il programma di formazione principale per la settimana seguente.
Se nel quotidiano la nostra divisa è importante, per tanti motivi, in questo contesto, comprendo che la divisa assume per me un significato ancor più particolare: orgoglio, protezione ed identità. La nostra classe è numerosa, mi sento osservato e anche io osservo con curiosità le persone che ho davanti, vorrei avere il tempo di chiedere ad ognuna di loro di raccontarmi la propria storia ed il perché oggi si trova in questo posto. Non c’è il tempo: l’aula è allestita e, dopo le prime formalità, si parte, entrando subito nel vivo.
Fin da subito mi colpisce l’attenzione dei nostri interlocutori: guardano con curiosità, ma allo stesso tempo percepisco un’attenzione dettata dall’interesse, dalla voglia di capire cosa ci ha spinti così lontano.
Più parliamo, più mostriamo manovre, situazioni e modi per poter contribuire a risolvere piccoli e grandi problemi delle persone, più gli occhi si illuminano, più i veli d’imbarazzo ed i confini culturali cadono e divengo sfumati. I differenti abiti non si percepiscono più.
Nella mia testa riecheggia un pensiero, o meglio inizialmente una frase “…take care…”. Stiamo comunicando utilizzando una lingua diversa (l’inglese) e, nell’affrontare gli argomenti di cui siamo venuti a parlare, sia noi che i nostri interlocutori, ripetiamo spesso queste parole.
Nella mia mente, quelle parole divengono quasi un mantra “…prenditi cura…prenditi cura…prenditi cura…”. Ho come la sensazione che lo stesso mantra si faccia strada nella mente di tutti i presenti e che forse la chiave del nostro dialogo, della nostra reciproca, concreta esperienza sia tutta lì.
Cosa stiamo facendo? Giorno dopo giorno, prima o dopo le lezioni del corso principale, ci rechiamo in alcuni orfanotrofi nei dintorni di Lalitpur. Vediamo ambienti diversi nei quali ricchezza e povertà si confondono rendendomi difficile comprendere cosa sia l’una e cosa l’altra. “La povertà sarà tutta quella polvere, quei cattivi odori, quei vestiti logori, l’assenza apparente di una famiglia o sarà la mia difficoltà quotidiana a sorridere come stanno facendo adesso questi bambini, a dare così tanta attenzione, come loro la stanno dando a me?”. Ogni orfanotrofio nuove manovre, nuovi consigli, nuovi scambi di esperienze e poi ancora lezioni in classe, tutto scorre con efficienza e serenità, ma devo ancora capire qualcosa: “cosa stiamo facendo?”.
Eppure so perfettamente cosa stiamo facendo: insegniamo manovre di primo soccorso, mostriamo il modello del volontariato, controlliamo che gli aiuti forniti siano stati impiegati correttamente.
Giunti all’ultimo giorno, la stanchezza inizia a farsi sentire, è il momento di verificare cosa fatto. Ci accorgiamo fortunatamente che molti dei contenuti proposti, sono effettivamente passati ed iniziamo ad essere soddisfatti del nostro operato. Ciò nonostante in me fermenta ancora qualcosa che non mi rende pienamente soddisfatto.
Durante la piccola cerimonia finale di congedo, veniamo omaggiati con collane di fiori e sciarpe augurali nepalesi e ripetutamente ringraziati per il nostro intervento. Molti dei presenti condividono discorsi e riflessioni sull’esperienza. Fra tutti, una signora semplicemente distinta, vestita con abiti tradizionali di colori intensi. La signora ci aveva già colpito nei giorni passati perché trasmetteva una sensazione di forza e determinazione, oltre ad una dirompente vissuta bellezza. Racconta di vivere in una comunità lontana, “nelle foreste”, racconta di essere lei a prendersi cura dei bambini della comunità che stanno male, racconta che per lei venire qui è stato un lungo viaggio e di essere grata di aver fatto questa esperienza. Racconta di due bambini che non ce l’hanno fatta e dei quali forse, se quegli episodi fossero accaduti oggi, lei avrebbe potuto prendersi cura in modo diverso.
Nella distrazione di quel momento, nell’apparente finale di quel percorso, il mio mantra stava tornando “…prendersi cura…”.
Cosa abbiamo dato non spetta a me dirlo, ma posso farvi sapere che il contributo enorme fornito dall’impegno quotidiano di migliaia di volontari che si prendono cura di ciò che li circonda è oggi per me una indissolubile certezza.
-Niccolò
La scelta di candidarmi per questa esperienza è stata immediata e con enorme entusiasmo. Credo fortemente nell’importanza della diffusione il più possibile capillare nella popolazione delle manovre di rianimazione cardiopolmonare e di disostruzione delle vie aeree. Quello che è valido in Italia e USA è ugualmente valido in tutto il mondo.
Il Nepal è un paese affascinante: terra sconvolta dal terremoto nel 2015, sembra che la polvere dei crolli non sia mai stata spazzata via. Città inquinata da fumi di polveri sottili e non, con all’orizzonte le cime degli Ottomila.
Gli abitanti del Nepal sorridono e accolgono gli stranieri con estremo rispetto.
“Namaste”, ovvero “saluto le qualita divine che sono in te”, è il saluto quotidiano dei nostri discenti. Una trentina di operatori locali di orfanotrofi della zona, anche di aree rurali. Tra una lezione teorica e le pratiche sui manichini abbiamo scambiato esperienze. Conosciuto particolari della cultura e delle tradizioni locali.
Poi le visite negli orfanotrofi. Il sorriso dei bambini, gli sguardi vivaci. L’attenzione nell’ascoltare la nostra breve lezione sul soccorso, in inglese (i grandi che lo conoscevano) o grazie alla traduzione in nepalese oppure con l’universale linguaggio gestuale. Un viaggio breve come durata ma che spero abbia fatto nascere un piccolo nucleo di operatori di primo soccorso.
Non si riescono a tradurre in parole tutte le sensazioni trasmesse e ricevute. Le testimonianze fotografiche spero possano riempire questa mancanza, rendendo per tutti evidente la finalità raggiunta e la positività del progetto.
– Cristiana
Il progetto. Anpas, in collaborazione con il suo storico partner nepalese Motherhood Care Nepal (MC Nepal), promuove Feel Like Home – Potenziamento dei servizi di accoglienza dei minori dell’orfanotrofio “Children’s Home” a Lalitpur, Nepal, progetto finanziato dalla Tavola Valdese tramite i fondi dell’Otto per Mille e cofinanziato da Anpas nazionale con la raccolta fondi Emergenza Nepal, successiva al terribile terremoto che ha colpito il paese nel 2015.
Il progetto Feels Like Homes in sintesi
Paese Beneficiario: Nepal ( Il progetto viene realizzato nella quartiere Harisiddhi, nella Lalitpur Sub-metropolitan City – Distretto di Lalitpur, Nepal)
Enti Finanziatori: Tavola Valdese, Anpas, Motherhood Care Nepal
Costo totale dell’intervento: €32573,35 (Quote partner: Chiesa Valdese €21488,27; Anpas €10634,68*; Motherhood Care Nepal €450,40)
*di cui Euro 9.634, 71 iniziativa Namaste + Euro 1.000 Premio Roma assegnato ad Anpas da Rotaract Roma
Contesto
Dopo i due sequenze sismiche del 25 aprile e del 12 maggio 2015 che hanno colpito il Nepal, il paese ha contato quasi 9.000 vittime, oltre 22.400 sono rimaste ferite, oltre 600.000 abitazioni distrutte, quasi 300.000 abitazioni danneggiate, 765 strutture sanitarie danneggiate o distrutte. In totale sono stati colpiti 2,8 milioni di abitanti – di cui 1,1 milioni bambini e adolescenti, che rappresentano il 40% della popolazione del paese – in 31 dei 75 distretti del paese.
Personale insufficiente
Insufficienza di risorse essenziali (alimenti, vestiario, medicinali, ecc)
Danni strutturali subiti dall’orfanotrofio conseguentemente all’evento sismico
Necessità di intervento contro i traumi post-disastro subiti dai bambini
Sono stati gli elementi che hanno portato Anpas ad intervenire attraverso il progetto Feels Like Home
Obiettivo
Il progetto ha l’obiettivo di migliorare il servizio di accoglienza e tutela dei minori, già offerto nell’orfanotrofio “Children’s Home” gestito da Motherhood Care Nepal, attraverso il supporto alla sua operatività, la formazione agli operatori su aspetti sanitari ed educativi, e lavori di miglioria strutturale e riparazioni post-sisma.
Beneficiari diretti
40 bambini accolti nell’orfanotrofio
10 operatori dell’MC Nepal (educatori e staff amministrativo)
10 operatori della scuola Pabitra Prathana Secondary School (insegnanti, staff amministrativo,
operatori scolastici)
Beneficiari indiretti:
La popolazione dell’area della Lalitpur Sub-Metropolitan City e Harisiddhi (4.116 persone circa)
100 persone appartenenti alla rete sociale dei bambini rimasti privi di tutela
200 alunni della scuola Pabitra Prathana Secondary School
60 Formatori del primo soccorso (volontari Anpas) che potranno replicare il modulo
formativo con elementi interculturali
info e contatti: Email: internazionale@anpas.org Tel: 055.30.38.21