“Legge 106/2016 – Piattaforma Anpas” è questo il titolo un documento di tre pagine accompagnate da un ulteriore documento di proposte di sviluppo di alcuni temi della piattaforma che Anpas sta inviando a diversi stakeholders in queste settimane, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali al Forum del Terzo settore, dalle altre associazioni al responsabile della Protezione civile, Fabrizio Curcio.

Legge 106, la piattaforma Anpas
Anpas rientra in quella parte di volontariato strutturato organizzato che necessita di disposizioni particolari perché mal si colloca nell’ambito più ampio del volontariato nell’accezione più comune – piccolo, di prossimità non strutturato – né nel contesto dell’impresa sociale (per la prevalenza dell’attività volontaria svolta). Questa situazione è peraltro simile a quella della Confederazione delle Misericordie d’Italia, del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta e della Croce Rossa Italiana, seppure con la sua attuale ibrida strutturazione. La peculiarità e l’importanza delle associazioni di volontariato organizzato sono state richiamate anche dal Dipartimento di protezione civile sottolineando la necessità di un riconoscimento delle specificità delle organizzazioni di volontariato operanti nella protezione civile, come peraltro indicato nell’ art.5, comma 1, lettera a) della Legge 106/2016. Anpas ritiene quindi necessario che, nel contesto dei decreti delegati previsti dalla Legge delega 106/2016 in corso di definizione, si tenga conto delle peculiarità della sua storia e del ruolo sin qui svolto nel contesto socio sanitario per preservarne il capitale umano ed evitare una sua possibile dispersione oltretutto a vantaggio di realtà, presenti nel nostro settore, di dubbia moralità.

Questa la dichiarazione di Fabrizio Pregliasco, presidente Anpas: “Ci siamo resi conto che, almeno nella nostra percezione e parlando con diversi stakeholders, che gli elementi che stanno emergendo rispetto all’applicazione della bella e positiva legge 106, la Legge Delega di Riforma del Terzo settore, impresa sociale e Servizio civile, che certamente traccia un quadro nuovo e positivo, che noi siamo un po’ nel mezzo di un quadro che vede due poli, il volontariato piccolo, di prossimità, che svolge attività complementari (attività non in forma stabile e continuativo) e un altro polo fatto dall’impresa sociale, uno strumento importante per garantire il welfare in futuro. Noi, come altre organizzazioni, stiamo nel mezzo tra questi due poli perché siamo una realtà di volontariato che svolge attività complesse, continuative ed anche in espansione. In particolare nella core mission della nostra attività che è il trasporto sanitario in senso lato, dal 118 d’emergenza all’anziano che deve andare a farsi la lastra a 100 km di distanza da casa. È ovvio che questa non può essere un’attività marginale ma è lo stesso scopo del nostro esistere e questo a noi pare, rende un po’ difficile l’inquadramento in uno dei due poli che la Delega disegna. Rappresentiamo una parte storica del volontariato organizzato che presta servizi nell’emergenza e nel pronto soccorso. Adesso va di moda il volontariato occasionale, quello dei volontari Expo per intenderci, però c’è anche questo segmento storico da preservare.

Come ha scritto Fabrizio Curcio su La Repubblica: «Distinguere volontariato e impresa sociale è fondamentale, per non fare confusione tra i cittadini e per consentire alle organizzazioni di volontariato di protezione civile di preservare la loro caratteristica fondamentale: essere libere e accessibili a chiunque, permettendo a chi vuole giocarsi in questa sfida di integrare l’attività di volontariato con la propria vita personale. Anche per quelle organizzazioni che, nella loro dimensione nazionale e storica, operano legittimamente sui due fronti, mantenere ben chiara la distinzione tra le due forme di impegno è cruciale.

In questo la legge fornisce un indirizzo deciso sulla distinzione dei due mondi, fondamentale per il sistema di protezione civile, salvaguardando la possibilità che essi possano coesistere nel quadro di una regola nuova che superi le nebulosità del passato. Crediamo sia giusto partire da ciò che abbiamo ottenuto come vittoria alla Corte Europea di Strasburgo sulla possibilità di avere servizi in affidamento diretto e senza gare di appalto nel nostro ambito di attività, estendendo a tutto il territorio italiano la pratica dell’affidamento diretto, senza rimborsi spese se non documentati e mai forfettarie ai volontari. Credo che questo sia interesse anche di altre realtà di volontariato, la possibilità di poter avere, entrate di natura economica sempre nell’ambito delle attività istituzionali e per il raggiungimento di ciò che prevedono gli statuti, attività che oggi spesso la Guardia di Finanza ci contesta per la famigerata definizione di “attività commerciale marginale”. Noi diciamo di darci la possibilità di poter svolgere in modo agevolato e facilitato attività che ci permettono di autofinanziarci e di essere presenti in maniera capillare sul territorio e in maniera continuativa, come stiamo facendo anche nelle zone del terremoto del Centro Italia, presenza che va oltre la prima emergenza e che continua anche quando i riflettori dei media si spengono. Perché se è vero che l’affidamento diretto per noi è la cosa migliore e lo è anche per lo Stato che ci rimborsa solo le spese effettivamente sostenute.

 

Chiediamo la possibilità di promuovere imprese sociali di partecipare alla costituzione di imprese sociali e società di cui al Libro V del codice civile, nonché esercitarne il controllo. Da quello che dalle bozze di decreto legislativo che abbiamo potuto visionare, si evidenzia è che c’è un limite del 50% di volontari rispetto ai dipendenti, o comunque, anche comprensibilmente, si stabilisce una proporzione assai stretta tra dipendenti e volontari. L’associazione che presiedo a livello locale, Rho soccorso, ad esempio, ha 250 volontari e 14 dipendenti e non potrebbe diventare impresa sociale. Questa strada ci è preclusa. Invece sarebbe utilissimo poter disporre, magari a rete in una provincia o in una regione, di strumenti di impresa sociale, che facciano qualcosa di complementare e che possano essere controllate dall’entità di riferimento i cui proventi e utili possano servire ai fini dell’autofinanziamento delle attività istituzionali statutarie. In tal senso con tali strutture gemmate si potrebbero attuare ad esempio attività di trasporto secondario per conto di strutture ospedaliere svolgendo servizi comunque legati alle finalità istituzionali.Il dialogo è in essere con il Ministero con le rappresentanze e con altre associazioni. Una questione che potrebbe essere spinosa è il rimborso forfettario che aleggia come richiesta da grandi realtà di volontariato, come l’Auser ad esempio. Noi vediamo un rischio: la forfettizzazione può favorire forme di lavoro nero. Qualcuno porta ad esempio ciò che già succede per le associazioni sportive dilettantistiche dove c’è un regime di rimborso forfettario esentasse sino a un limite di 7.500 euro. Altre realtà associative dicono, adottiamo una formulazione simile in cui il volontario viene rimborsato senza pezze giustificative. La nostra proposta invece è quella secca dello status quo che tecnicamente dice: rimborso a piè di lista solo se ci sono spese documentabili e attribuibili al volontario”.


I documenti

La piattaforma Anpas

Gli emendamenti

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