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Psicologi Anpas – Non cadiamo nella trappola della solitudine, ma manteniamo viva e attiva una rete di contatti. Le parole sono importanti: è più corretto definire il distanziamento fisico e non sociale.
Siamo quasi al termine di un 2020 che ci ha messo duramente alla prova chiedendo sacrifici per preservare la nostra salute e quella dell’intera comunità. Un ospite indesiderato ha sconvolto la nostra quotidianità e fatto vacillare le nostre certezze.
La preoccupazione primaria è non ammalarsi, ma altrettanto importante è la preoccupazione di non intaccare la nostra vita economica e sociale.
Dopo la fase più critica, che per il numero dei contagi ha portato al “lockdown”, abbiamo vissuto dei momenti di grande speranza ritornando in parte ad una vita normale, perché l’ospite era più sotto controllo.
Attualmente siamo in una fase delicata, in cui le istituzioni seguendo le indicazioni del Comitato Tecnico Scientifico, ci invitano a non abbassare la guardia, a seguire le regole e hanno sottoposto alcune categorie professionali a restrizioni per scongiurare un secondo “lockdown”.
Tuttavia, ci pesa davvero indossare una mascherina per proteggerci e proteggere gli altri ed igienizzare continuamente le mani? Pensiamo agli operatori sanitari e ai volontari che hanno adottato queste procedure anche in tempo di pace.
Il vero sacrificio che ci impongono non sarà il distanziamento sociale? Nelle difficoltà dovremmo essere uniti, tenerci per mano, invece ci prescrivono di mantenere un metro di distanza per affrontare questa crisi.
Le parole rivestono un peso importante, pertanto è più corretto definire il distanziamento fisico e non sociale.
Oggi più che mai dobbiamo supportarci, offrire e ricevere conforto, sostegno, confronto, dare voce alle nostre paure per sentirci meno soli. Viviamo il timore di contagiare i nostri cari, i nostri colleghi, amici o di essere contagiati da loro. È naturale provare rabbia e frustrazione, ma dobbiamo stare attenti
a non sviluppare diffidenza nei confronti dell’altro. La nostra ansia è giustificata, non negativa perché ci permette di riconoscere il pericolo e quindi ci fa seguire le regole, ma se diventa eccessivo il nostro stato di allerta e ci spinge ad allontanare gli altri, ad auto-isolarci è in questo momento che dobbiamo attivare le nostre risorse emotive: la nostra resilienza, ovvero la capacità di reagire alle situazioni di stress coltivando azioni utili e produttive per noi. Pertanto oggi più che mai dobbiamo preservare le relazioni!
Come è possibile coltivare la vicinanza emotiva all’epoca del distanziamento? È fondamentale vincere i pregiudizi, non mettere alla gogna qualcuno in base al risultato di un tampone. Siamo chiamati ad adottare comportamenti responsabili, a non creare assembramenti e rispettare le altre regole per tutelare il bene comune, ma non dobbiamo deprivarci della potenza curativa del calore umano.
Pensiamo agli studenti nelle classi ad un metro di distanza l’uno dall’altro. È fondamentale alimentare il dialogo, mantenere vivo il contatto visivo nonostante i dispositivi coprano parte del volto. Nessuno ci vieta di chiedere come stai e ascoltare la risposta del nostro amico, della nostra collega e magari, di confidarci a nostra volta, di alleggerirci del peso che portiamo.
Pertanto è evidente che la mascherina e il distanziamento fisico ci permettono di non rinunciare allo scambio con l’altro, al confronto. Forse non possiamo “stringere la sua mano” ma possiamo certamente toccare il suo cuore. Sentirci parte di una comunità, di un’associazione di volontariato, di un gruppo può darci la forza e determinazione necessaria per affrontare e superare con le unghie e con i denti questo periodo.
Non cadiamo nella trappola della solitudine, ma manteniamo viva e attiva una rete di contatti: non adottiamo alcuna distanza tra i nostri cuori!
Antonella Chibelli, psicologa Anpas
La ricerca Anses e Anpas
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