Gente d’Anpas

“Sono un soccorritore” il racconto di Elia

“Sono un soccorritore”, il racconto di un intervento di primo soccorso

Arrivi sul luogo di intervento e intorno a te vedi le lacrime. Ti accorgi subito che da te la gente si aspetta quel miracolo che tu non puoi di certo concedere, ma ti inginocchi accanto a quel corpo e inizi a fare del tuo meglio e con tutte le forze che hai schiacci forte le tue mani su quel petto. Comprimi quel pallone tra le tue mani come se quel gesto da solo possa bastare ad alimentare una vita così come un soffio di vento fa divampare un incendio nel bosco. Quando premi quel pulsante, la scarica che emana la senti come un brivido lungo la tua schiena.

Sei lì e nella tua testa ripeti “Resta qui, non te ne andare adesso” e mentre la tua fronte inizia a brillare di sudore, spingendo sempre più forte, quasi a voler sentire quel cuore tra le tue mani, speri che i tuoi sforzi possano non essere vani. Sei il primo ad arrivare, il primo ad intervenire, il primo a dover prendere decisioni… E hai sempre paura di non aver fatto abbastanza. Ma poi succede, raramente ma succede, che ti arriva un messaggio di ringraziamento, perchè quel cuore ha ripreso a battere e quella persona è tornata a vivere.

Expo i soccorritori Anpas

Hai dato ai medici la possibilità di dare anche loro il meglio di sé. Tu hai contribuito a ridare la vita. È in quel momento che capisci che fai il lavoro più bello del mondo.  Alzi lo sguardo e ti accorgi di essere un privilegiato, quando vedi accanto a te quei due ragazzi di vent’anni, che fanno esattamente quello che stai facendo tu, rubando tempo alla propria giovinezza, e lo fanno gratuitamente. È questa la forza del volontariato, la grandezza dell’uomo che si dona senza aspettarsi nulla in cambio.

Nessuna moneta potrà mai comprare quello che si prova a reincontrare lo sguardo di quella persona. Faccio il mestiere più bello del mondo: sono un soccorritore, e ne sono fiero.

-Elia Paolucci, pubblica assistenza Croce Verde Morrovalle Montecosaro

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“Sporchi fuori, ma buoni dentro”, il racconto di un volontario da Benevento

“Sporchi fuori, ma buoni dentro”, da Benevento il racconto di un volontario della colonna mobile nazionale protezione civile Anpas 

Fuori il tempo è cupo, il cielo è buio ed è ancora tutto da fare. Le strade sono talmente piene di fango che il nero dell’asfalto non si vede. C’è solo il marrone. Ci sono quattro ragazzi con la pala in mano, lo stivale che entrano nell’ingresso principale, con il fango che gli arriva alle caviglie. E iniziano a togliere fango e acqua. Man mano che avanzano tolgono il fango dai corridoi, ma dalla prima porta che aprono esce fuori ancora fango, che continua a buttare fuori fango. E così anche con la seconda e poi la terza. Ogni porta che riescono ad aprire li riporta indietro, in mezzo al fango che avevano appena tirato via. E fuori continua ad essere tutto scuro. E c’è tutta la città da tirare via dal fango

Questa è una delle immagini che mi è rimasta più impressa nei giorni trascorsi a Benevento, come volontario della colonna mobile nazionale della protezione civile Anpas. C’è ancora da rimettere a posto le cose.

La scorsa sera, la nostra ultima passata lì, Mirco il proprietario del locale dove siamo andati dopo i quattro giorni passati a spalare, ci ha regalato una bottiglia di vino sporca di fango, di quelle che si vedono in questi giorni anche sui social network, e ci ha chiesto di accettarla: “da quando è successo tutto questo, da queste parti si dice sporchi fuori, ma buoni dentro”, ci ha detto Mirco. Abbiamo ringraziato e mentre stavamo andando via, il figlio di Mirco, che avrà avuto cinque/sei anni, ha chiesto al padre chi eravamo e lui gli ha spiegato che eravamo “i ragazzi che stanno aiutando la popolazione”. In quel momento il cuore ci è caduto sulla stessa terra che avevamo cercato di pulire fino a poche ora prima.

Bello è stato sentirsi dire “grazie” anche da persone che magari non hanno subito danni dall’alluvione, solo perché noi eravamo lì, con accenti diversi, ma parte di quel cielo campano che speriamo torni ad essere azzurro e la terra un po’ meno sporca e magari più buona.

Continua l'assistenza dei volontari Anpas a Benevento

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L’Alluvione della Valle Roveto, di Serafino Montaldi

Emergenza Alluvione Valle Roveto 2015, lì 19/10/15

Avevamo molte immagini per poter condividere questo nostro pensiero, poi alla fine abbiamo voluto farlo con questa foto che forse più di tutte rende l’idea e mette a nudo il nostro stato d’animo. Il senso di vuoto che questi momenti ti inducono.

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Oggi si sta chiudendo un’emergenza durata 4 lunghissimi giorni, che sembravano non voler terminale mai, le cui ore, minuti e secondi sono sembrati andare lenti e pesanti. Non vogliamo andare troppo nello specifico delle sensazioni e paure che in quella notte del 14 ottobre si sono impadronite di noi.

VOGLIAMO parlare del dopo, della forza ed il coraggio dimostrato dalla popolazione rovetana, colpita e messa a dura prova, ancora una volta, da eventi così duri.

VOGLIAMO narrare di tutte quelle persone che si sono messe a disposizione della collettività e che in nome di un sentimento comune, hanno dato vita ad una gara di solidarietà di una semplicità ed efficacia unica.

VOGLIAMO raccontarVi dei tanti Volontari che in questi giorni si sono alternati, nei nostri paesi nel portare conforto e più nello specifico a spalare il fango, mamma quanto…

VOGLIAMO parlare dei ragazzi delle P.C. di Celano, Avezzano, Tagliacozzo, degli Scout, del rugby, della CRI di Avezzano, della pro loco di Canistro, dei VdF di Avezzano e L’Aquila, e di quanti si nono alternati in maniera anonima nelle nostre vie, nelle “rue” nelle case, e nei scantinati…

VOGLIAMO scrivere delle nostre associazioni Anpas presenti nell’immediato, la Croce Bianca L’Aquila e la Gran Sasso Soccorso, a questi ragazzi va il nostro encomio, il nostro ringraziamento più sentito.
Per ultimi VOGLIAMO narrare di un sentimento comune che le genti di questa Valle hanno avuto nei confronti dei Volontari Anpas che in questi giorni sono stati sempre presenti, quasi a voler essere un tutt’uno con la popolazione, i loro bisogni, le loro richieste, le loro speranze, a voi ragazze e ragazzi della GVM di Magliano e della Croce Verde di Civitella Roveto va il mio grazie semplice ed umile che si unisce a quello forte, riconoscente e sincero della popolazione rovetana!
Serafino Montaldi, Presidente Anpas Abruzzo

 Maltempo Abruzzo: l’intervento dei volontari Anpas

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Invecchiamento attivo: un approfondimento

Nel giorno della festa dei nonni un approfondimento sull’invecchiamento attivo, di Fabrizio Pregliasco, presidente Nazionale Anpas

Cominciamo da un dato, facilmente verificabile da ciascuno degli over 50 tra di noi: siamo anni luce dall’essere anziani. Un tempo era così, ora non lo è più. È come se, pur avendo 50, 60 o 70 anni, non avessimo gli stessi 50, 60 o 70 anni che hanno avuto, appena qualche decina di anni fa, i nostri genitori.
La ragione è che, non solo si è allungata l’età media, si è allungata anche la salute media. La nostra età biologica non corrisponde più all’età anagrafica e questo ci dà l’illusione di sentirci ancora giovani e invincibili. In parte è così – continuiamo ad essere giovani – ma allo stesso tempo cominciamo a non esserlo pienamente più.

Per questo è importante mantenere uno stile di vita sano e attivo il più a lungo possibile, limitando al massimo i fattori potenziali di problemi alla salute.
Se, per esempio, siamo abituati a svolgere un’attività fisica, come la corsa, sappiamo anche quanto benefico sia fare stretching prima di cominciare. Lo stretching non ci rende più forti nel correre né più resistenti o più giovani, ma aiuta a prevenire e limitare danni e dolori a tendini e muscoli. E alla nostra età, se ti fa male un tendine, non corri più per un mese!

A 50, 60 o 70 anni possiamo continuare a essere attivi e produttivi. Dobbiamo anzi aiutarci ad esserlo regolarmente, rimuovendo, con dei semplici accorgimenti e nessuna privazione, i potenziali ostacoli alla nostra salute.
In questo blog, desidero parlare di questo: non prescrizioni ma consigli, spunti, punti di vista di un insider della medicina con un piede nella ‘terza giovinezza’!

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Essere Anpas, ovvero la filosofia del timballo

Essere Anpas: ovvero la filosofia del timballo

di Valerio De Pinto e Valentina Urbani

Il 5 settembre 2015 si è svolto nel Comune di Montorio al Vomano (TE) una giornata di formazione Essere Anpas che ha visto la partecipazione, sotto la direzione di un tutor della Croce Verde di Villarosa, di un nutrito gruppo di volontari provenienti da differenti pubbliche assistenze abruzzesi e molisane. Tutte differenti, tutte uguali.

Essere Anpas 5.09.2015 Montorio ovvero la filosofia del Timballo

Un rotolo di spago, due pezzi di tubo in plastica, post-it a profusione, qualche pennarello ed un pc con le casse audio che sistematicamente non vogliono funzionare dando quel momento di ansia da prestazione che si presenta puntuale prima dell’inizio di un modulo di formazione, che pone in tensione emotiva e fisica i formatori nazionali, venuti dalla Puglia e dall’Umbria, mettendo in circolo l’adrenalina che servirà loro ad affrontare la giornata.

Accenti diversi, età differenti, esperienze ed aspirazioni divergenti ma polarizzate le une con le altre che hanno visto, durante le 6 ore di corso di formazione, attività pratiche alternate a momenti di confronto anche molto animati su chi siamo, siamo stati e dove vorremmo andare nell’immediato e nel lontano futuro.

L’intero modulo di formazione, infatti, pone l’accento sull’essere l’Anpas, non solo sull’appartenere, su quel sentire comune che ci porta ad identificarci in uno stesso simbolo, indossando divise dai diversi colori, ma sentendoci accomunati da un qualcosa di più profondo, che supera l’estetica per arrivare diritto al cuore, o spesso allo stomaco. Quando l’essere volontario è una cosa che senti “de panza” e che ti porta a sentire, pensare ed agire in un determinato modo, anche in contesti estranei a quelli canonici dell’essere un volontario di una pubblica assistenza.

Si può intendere la formazione come l’ingresso/corridoio che è in ognuna delle nostre case: sono ambienti in cui non abiteremmo mai e che non sono ufficialmente deputati ad accogliere qualche funzione (la cucina serve a cucinare, il living a svagarci, la camera da letto a….dormire!) ma servono solo a portarci da qualche parte.

Proviamo però adesso ad immaginare la nostra casa senza l’ingresso ed il corridoio: sarebbe inabitabile. La formazione è proprio questo: un corridoio che dobbiamo attraversare se vogliamo arrivare nelle diverse stanze della nostra casa. Nello specifico “essere Anpas” è proprio l’ingresso.

Essere Anpas 5.09.2015 Montorio ovvero la filosofia del Timballo

Come possiamo essere “Anpassini” se non conosciamo la storia del Movimento, la sua mission, i suoi valori fondamentali e i suoi differenti campi di azione, come possiamo riconoscerci nel movimento senza aver provato a confrontarci in modo aperto e spontaneo su quello che ci accomuna e che dovrà in futuro incollarci gli uni agli altri nell’operare all’interno di una realtà, come Anpas, in crescita a livello nazionale e che sta assumendo sempre più un ruolo rilevante, dialogando con gli attori politici e della società civile tutta?

L’intera giornata di formazione svoltasi in Abruzzo, infatti, si è articolata in differenti momenti con lo scopo di riflettere proprio sull’identità del movimento, conoscendo la sua storia che affonda le proprie radici nella seconda metà del XIX secolo, così come gli articoli della Costituzione Italiana che più ne rappresentano il fondamento politico ed i differenti campi di attività di Anpas, da quello sanitario a quello culturale, con l’Archivio storico del movimento, ancora sconosciuto ai più, che però ne custodisce la storia, la nostra storia.

La partecipazione al modulo, così come è emerso durante l’esperienza a Montorio al Vomano, allarga gli orizzonti del pensiero stimolando, anche attraverso attività pratiche, la conoscenza reciproca, la capacità di lavorare in gruppo trovando equilibri ed intesa tra volontari all’inizio estranei ma che a fine giornata sono stati capaci di cooperare e ragionare in modo coeso, supportandosi a vicenda tanto da trasformare l’attività finale, il calcolatore, in una vera gara in cui l’asso nella manica è stato proprio la conoscenza e l’intimità acquisita durante la giornata, la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie potenzialità, pronti a cooperare in modo positivo al fine di “vincere” la competizione.

Essere Anpas è un modulo fondamentale per le pubbliche assistenze appena entrate a far parte del movimento così come per quelle ormai presenti da anni ma che vogliano rafforzare il senso di appartenenza, coinvolgendo i volontari che torneranno a casa più consapevoli del senso generale del proprio operare, arricchiti dal confronto con i partecipanti, dando spesso luogo a scambi di idee ed esperienze che arricchiscono tutti, e di riflesso ampliano le possibilità di servizio ed intervento sul territorio specifico di ogni pubblica assistenza lì rappresentata.

A fine modulo, infatti, senti di essere uno degli ingredienti di quel “Timballo alla Teramana” che assaggerai a pranzo e digerirai nel giro di qualche anno, ma che avrà quel sapore unico, frutto del connubio di ingredienti differenti tra di loro ma che si mescolano esaltandosi reciprocamente, quasi fossero nati apposta per quello scopo, per quella pietanza così completa e così autentica, narratrice di tradizioni e storie che vengono dal passato e che continuano ad essere importanti nel presente, sapori e valori antichi che rendono unici quei sapori così come unica è l’esperienza dell’essere volontario.

Forse il regalo ultimo che ci si porta a casa dopo aver partecipato al modulo di formazione è proprio questa consapevolezza: volontari Anpas si è sempre, con e senza divisa. Altrimenti non lo si è mai.

 

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Alluvione in Perù: la storia di Milton

Milton da Sesto Fiorentino al Perù

Il governo del Perù ha dichiarato lo stato di emergenza in tre regioni (Tumbles, Moquegua, e i distretti di Lurigancho-Chosica) colpite negli ultimi giorni da forti piogge, frane e inondazioni per effetto di El Niño.
Milton, volontario della Croce Viola Sesto Fiorentino, è tornato a vivere in Perù e sta portando soccorso alle zone colpite con la Cruz Roja Peruana.

Secondo l’Istituto di difesa civile nazionale, dall’inizio dell’anno gli incidenti causati dal maltempo hanno distrutto 1.245 case e hanno ucciso 28 persone.

Lo stato di emergenza riguarda la regione Secondo le previsioni del tempo, l’intensità di El Niño dovrebbe ridursi a partire da maggio.

Milton da Sesto Fiorentino al Perù

Milton, volontario della Croce Viola di Sesto Fiorentino

colpito da El Niño. @CruzRojaPeru

 

“Utopie diranno gli scettici, gli egoisti, gli indifferenti. Ma utopie furono dichiarate quando ne sorse la prima idea l’abolizione della schiavitù, l’eguaglianza civile degli uomini avanti la legge; eppure quell’utopie son divenute fatti compiuti attraverso i secoli o sono sulla buona via di

divenirlo. Questa lega umana internazionale di soccorso e di mutua assistenza morale e fisica segnerebbe il più gran passo nell’affratellamento dei popoli”.

Giacomo Mellini durante il congresso regionale toscano delle società di soccorso ed assistenza pubblica del 1903.


 

 
 
 

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Alluvione di Stazzema: i miei 18 se li voleva portare via il fango

Il 19 giugno 1996 l’alluvione di Stazzema e i diciotto anni di Matteo: una storia

Avevo solo diciotto anni ed improvvisamente mi trovai a dover affrontare un’esperienza che non dimenticherò più.

I primi 150 della Croce Verde Pietrasanta

Il 19 giugno 1996 uscito da scuola e dopo aver pranzato, mi trovavo con altri pochi amici nella sede della Croce Verde di Pietrasanta. Erano quasi le tre del pomeriggio e un gruppo dei miei compagni era già partito, con mezzi di soccorso, verso l’alta Versilia. Erano stati avvisati che in quella zona, a causa di un violento nubifragio, stava accadendo qualcosa di veramente grave e di mai visto. I locali dei volontari della Croce Verde erano quasi deserti. C’erano Pelagatti, che freneticamente stava dirigendo gli spostamenti tramite ponte radio, la Serena, la Chiara ed io.

Il telefono diventava sempre più inquietante per il continuo squillare. Pelagatti, alzandosi di scatto dalla sedia, ci disse: “Forza, veloci! indossiamo i giacconi e corriamo”. Non disse neppure dove dovevamo andare. L’unico mezzo rimasto era il nostro vecchio “Polifemo”, un 238 Fiat. Quando tutti e quattro salimmo sul mezzo ci disse che dovevamo recarci in via San Bartolomeo per portare soccorso ad una signora disabile, bloccata nella propria casa, poiché il fiume Versilia aveva rotto gli argini. Tentammo d’imboccare la via, ma l’acqua era ormai troppo alta. Il “Pela” non si dette per vinto e provò a passare per via Torraccia. Riuscimmo a arrivare fino a metà strada, senza poter procedere oltre a causa dell’acqua alta.

Il tempo era spaventoso. Nuvole nere impazzite ruotavano vorticosamente sulle nostre teste. Fulmini e tuoni si alternavano senza un attimo di tregua, mentre una pioggia scrosciante ci lavava come se fossimo sotto una cascata alpina. L’acqua mista a fango cresceva e  diventava sempre più minacciosa.

Ci fermammo per cercare con lo sguardo un percorso alternativo, ma subito ci accorgemmo di trovarci in un lago melmoso e nella assoluta impossibilitati di andare in una qualsiasi direzione.

Col fiato sospeso ci accorgemmo che eravamo fermi sopra un piccolo dosso, una specie di isolotto. E adesso, cosa fare? Pelagatti si trovava a gestire una situazione di grave pericolo e con tre giovani che da soccorritori erano diventati di colpo da soccorrere. Per nostra fortuna riuscimmo a sapere, tramite radio, che un nostro mezzo 4×4 non era lontano da noi. Il “Pela” decise di raggiungerlo come poteva, considerando che la fanghiglia sembrava stabilizzarsi nella sua corsa. Mentre si allontanava ci ordinò di non muoverci dal veicolo. Avemmo pochi istanti di tregua perché di lì a poco si scatenò nuovamente l’inferno: l’acqua e il fango ripresero a salire velocemente tanto da invadere l’abitacolo del mezzo dove ci trovavamo.

Sbalorditi incominciammo a vedere macchine trasportate come modellini vaganti. Muretti di recinzione che cadevano; lampioni che si piegavano docilmente sotto la furia impetuosa del vento e dell’acqua. Intorno a noi un’immensa distesa fangosa che confondeva i confini naturali disorientandoci definitivamente. 

Rimanere fermi, mentre intorno a noi cambiava il paesaggio, stava diventando un’esperienza sempre meno sopportabile. Dove potevamo andare? Le ragazze sotto shock incominciarono a piangere ed io non sapevo che decisione prendere. Finalmente Pelagatti tornò insieme ad Emanuele. Decidemmo di scendere dalla macchina e di rifugiarci, un centinaio di metri più avanti, in una segheria, sopra dei blocchi di marmo. Dopo aver ripreso un po’ di energie era giunto il momento di fare gioco di squadra. Ritornammo a scendere nell’acqua gelida e fangosa. Si faticava a rimanere in piedi. Ci prendemmo per mano formando una catena.

La corrente era forte e non sapevamo dove mettere i piedi. Tronchi d’albero e oggetti indefiniti ci sfioravano il corpo e le gambe. Sapevamo che se ci avessero colpito in pieno, probabilmente saremmo stati trascinati nell’acqua e chissà come sarebbe andata a finire per tutti noi.

Passarono interminabili minuti prima di arrivare in un posto sicuro. Ricordo ancora che un gruppo di operai ci aiutò a fare l’ultimo tratto del percorso. Stanchi ed infreddoliti arrivammo in sede, sopra ad un mezzo anfibio dei pompieri. Qui, con la mente completamente vuota, ci mettemmo a sedere e prima di parlare passarono ore. Eravamo terrorizzati da quella brutta avventura, quasi-eroi senza che nessuno ce lo disse. Avevamo fatto il nostro dovere, ma molto, molto dopo capimmo che avremmo potuto essere fra le vittime dell’alluvione che colpì la Versilia il 19 giugno 1996.

di Matteo Castagnini su “La nostra Città” della Croce Verde Pietrasanta

La distruzione e poi subito la ricostruzione, di Riccardo Ratti, presidente Croce Verde Pietrasanta

Aveva iniziato a piovere già nella notte, una pioggia intensa come non si vedeva da molti anni, che proseguì per tutta la mattina. Nell’alta Versilia alcune strade avevano ceduto isolando le frazioni, tanto da richiedere l’intervento di un elicottero dei Vigili del Fuoco. Niente lasciava presagire che il peggio sarebbe avvenuto nel primo pomeriggio. La pioggia, concentrata sulle vallate dello stazzemese, cominciò a trascinare fango, detriti e alberi. Poco dopo le 13 il fiume si portò via il paese di Cardoso, quindi travolse Ponte Stazzemese, il centro di Seravezza e continuando la sua corsa verso il mare, in località La Rotta, nome che non ha bisogno di spiegazioni, riprese il suo vecchio percorso, prima che venisse deviato verso il Cinquale dove oggi si trova la foce del Versilia. Dalla Rotta la massa d’acqua, fango e alberi invase la pianura fino alle porte di Pietrasanta: via S. Bartolomeo, il sottopasso, via I Maggio, viale Apua, interrompendo la statale Aurelia e la ferrovia e dividendo in due la costa. L’alluvione del 19 giugno 1996 ha prodotto dolore e distruzione ma ha anche compattato un popolo attorno alla ricostruzione. Con il “modello Versilia” (quel sistema concreto ed efficace di aiuti e di interventi, con una delega ai sindaci e ad un commissario) si è sperimentato un primo vero esempio di federalismo solidale.

 

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Formazione formatori: il viaggio di Michela

La neve se ne frega: il viaggio di Michela

Sette febbraio: è mattina quando mi sveglio in un Italia quasi tutta imbiancata. È scesa così tanta neve in poche ore: è candida, ovatta soffice ma pronta a sciogliersi e a rivelare un altro mondo. Un aereo vedrebbe uno stivale bianco macchiato di arancio svegliarsi quella mattina perché se come dice un noto cantante “la neve se ne frega”. A noi non importa di lei e partiamo lo stesso: chi dalla Calabria, chi dalla Valle d’Aosta, chi dalla Sardegna, chi dall’Emilia Romagna. Centoquarantadue divise arancioni, 142 uomini e donne, 142 volontari, 142 futuri formatori di Protezione Civile con la valigia in mano partono per la Campania direzione Baronissi per il terzo modulo di una cascata formativa.

Quando Anpas chiama sfido chiunque e qualsiasi cosa a fermarci: chi in ritardo di poche ore, chi di qualcosa di più, in treno, aereo, in macchina arriviamo tutti alla nostra terza tappa di un percorso chiamato formazione. Un percorso in salita fatto di ciottoli non stabili e mille difficoltà. Ma arrivati in cima dicono che il panorama sia sempre fantastico.

Non mi spaventa la strada so che va percorsa fino in fondo con il massimo impegno e la massima serietà perchè la formazione sta alla base di tutta la Protezione Civile. E poi mi guardo intorno e so che a percorere questo sentiero non sono sola: vicino a me ho dei compagni meravigliosi!

Siamo sempre i soliti. Siamo sempre noi. E siamo ancora qua. Tanti volontari da ogni parte d’Italia che saranno formati per diventare a loro volta formatori di Protezione Civile base e specifica.

I ritmi di questo terzo modulo sono molto alti, l’impegno richiesto è molto elevato e le varie specialitá iniziano a percorrere strade differenti con temi fondamentali per la loro materia. Vedo i compagni intorno a me realmente stanchi e provati da un corso pieno di contenuti e tematiche interessanti come la comunicazione in emergenza e il rischio sismico. Ma siamo volontari Anpas e come sapete neanche terremoti e alluvioni riescono a piegarci.

Cosi le ore e i giorni passano tra come gestire lo stress e una sfogliatella tra come allestire un campo Anpas e il latte che cola quando tagli la bufala.

Acquisiamo nuovo conoscenze mentre riflettiamo sulle vecchie sullo sfondo di una regione dai mille colori magici, dai mille sapori, dalle mille sfumature culturali. In questo panorama suggestivo si delineano mille maschere. Io che vesto il costume del responsabile cucina. C’è chi prova a indossare la maschera variopinta del responsabile di campo, chi quella del mediano come gli operatori di segreteria e sala operativa e chi si veste da giocoliere per fare acrobazie su i pali della logistica, chi nell’aula vicina affronta l’ultimo ostacolo prima di arrivare in cima alla montagna e godersi il panorama.

C’è un alternarsi di albe e tramonti di abiti civili e divise arancioni di lingua italiana e dialetti regionali, le nostre valigie sono di nuove ammuchiate sul marcipiede;abbiamo molta strada da fare ancora. Ma non importa la strada è la vita. Il giorno dopo nevica anche in Campania.

Copre i coppi e le piazze le altalene e i bidoni, i sorrisi dei pazzi e le bestemmi di qualche barbone. Nessun tipo di sforzo lei non fa neanche una piega c’ è chi ne ha giá abbastanza ma tanto la neve lei se ne frega.

BaronissiPC di Michela

 

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Formazione formatori: La comunicazione d’emergenza e l’Italia in una stanza

La comunicazione d’emergenza e l’Italia in una stanza

di Maria SianoReferente Area Comunicazione e Ricerca Sodalis CSV Salerno 

 

Un seguirsi di accenti diversi. L’Italia in una stanza. Accenti che si interrogavano, sorridevano, attendevano di apprendere la gestione della propria identità digitale. Sono i volontari Anpas quelli che ho incontrato sabato 7 febbraio a #baronissipc. Mi sono infilata di striscio alla lezione dedicata alla “Comunicazione d’emergenza”.

Sono state illustrate le nuove modalità comunicative con cui tutti i giorni anche le organizzazioni di volontariato sono chiamate ad operare, volente o nolente, nel calderone del web, ora denominato social media.

Per un mondo che cambia, c’è un volontariato che insegue le diverse strategie comunicative e spesso si scopre, come l’utilizzo di un mezzo “neutrale” come Facebook può diventare un boomerang che danneggia l’organizzazione e influisce negativamente sull’attività che si sta svolgendo, rendendola inutile; specie se chi ti commenta appartiene al tuo stesso gruppo e non riconosce la tua identità.

 

Un’identità del fare, dell’esserci, di essere un elemento fondante delle comunità perché le OdV creano cose che sanno fare meglio degli altri: creano legami, rafforzano i territori e generano solidarietà. Gesti più che parole che le associazioni svolgono tutti i giorni. Non vi tocca, volontari, che renderle note. A farle stè cose siete già bravi, dovete solo migliorare post e tweet.

 

Baronissi: il corso di protezione civile

 

 

Formazione formatori: il viaggio di Alice

Formazione formatori: il viaggio di Michela

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Formazione formatori: il viaggio di Alice

La segreteria di campo e la vita da mediano: il viaggio di Alice

Per l’ennesima volta, la sveglia suona presto, il borsone è pronto, ma questa volta per andare più lontano. Si parte per il terzo residenziale di formazione per formatori di Protezione Civile: destinazione Baronissi, in provincia di Salerno. Il nostro treno arriva puntuale  e con i miei compagni della Liguria siamo pronti ad affrontare un viaggio lungo, ma l’adrenalina è a mille e la voglia di vedere i tuoi compagni di percorso è tanta. Non è stato un viaggio semplice per tutti: l’imprevisto è sempre dietro l’angolo, e questa volta, la neve, è arrivata puntuale.

 


Questo residenziale è diverso rispetto a quelli fatti prima: ci dividiamo in Formatori base di Protezione Civile, e Formatori specifici, per Responsabile di Campo, Responsabile Logistica, Responsabile Cucina, ed Operatori di Segreteria e Sala Operativa Nazionale. 
Quest’ultimo, è quello che ho scelto di seguire io, per il quale sono stata selezionata, e per il quale ho deciso di buttarci tutta me stessa:

 

 

Stancarsi,   imparare,  emozionarsi quando, nel raccontarti della Segreteria di Campo, viene citato Luciano Ligabue,  in una delle sue più belle canzoni, “Una vita da mediano”, e ti rendi conto di quanto quelle parole la rappresentino a 360 gradi.


 

 

Ma la vita in Anpas è così: strana, imprevedibile e bella. Ti svegli alla mattina ed è normale condividere la stesso tavolo con chi non conosci bene, ma parli come se ti conoscessi da sempre,  è divertente dire “Buon Appetito” durante i pranzi e le cene, a quelli che sono seduti vicino a te, è tra le cose più emozionanti notare che durante il discorso del tuo Presidente Nazionale, gli stessi brividi che vengono a te,  spuntano anche a qualcun’altro.

 


Chi non c’è dentro non può capire quello che regala, quello che c’è dietro, e che non esiste stanchezza per farti mollare il colpo, non esiste un ginocchio operato da poco per non permetterti di aggiungere  quest’altro tassello in questo percorso.

 

Non ti viene nemmeno in mente di perderti quello che si può condividere, di imparare parole di un dialetto nuovo, e soprattutto conoscere sempre persone e storie nuove.

 

BaronissiPC di AliceTre giorni volano e senza nemmeno accorgertene è il momento di prendere il treno del ritorno, la stanchezza è doppia,  il bisogno di dormire è alto, e lo stesso viaggio dell’ andata questa volta sembra infinito. 
Quando la stanchezza raddoppia si diventa più folli e allora, in treno, si parla di tutte quelle cose che ci accomunano, per passare poi ad un dibattito per capire se quello che vedi all’orizzonte è il Vesuvio o meno, fai una foto ma mentre la scatti, uno dei tuoi compagni di viaggio ha la tua stessa idea, allora ecco che ne esce una foto che per me rappresenta noi folli: viaggiamo sempre nella stessa direzione,  e di come l’idea di uno sia l’idea di chissà quanti altri.

 


Arriviata a casa, contenta, stanca, con il t sapere un pò aumentato, ma sempre più ricca e consapevole di quello che fai e farai sempre con lo stesso entusiasmo della prima volta durante il tuo primo Campo di Protezione Civile Anpas. 
Grazie a chi ci regala e permette tutto questo.

“Una vita da mediano, con dei compiti precisi, a coprire certe zone,  a giocare generosi..”

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